Cerca

Assassinato per una soffiata, 20 anni al boss dei “Capitoni”

Assassinato per una soffiata, 20 anni al boss dei “Capitoni”

L’ultimo ras di Miano confessa, concesse le attenuanti generiche

NAPOLI. L’ultimo boss dei “Capitoni”, unico dei fratelli ras a non aver mai collaborato con la giustizia, evita a sorpresa la stangata. Imputato con l’accusa di aver dato nel 1994 il via libera all’omicidio di Francesco Palumbo, Giuseppe Lo Russo ieri mattina è stato condannato a vent’anni di reclusione grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche. Una pena certamente sostanziosa, ma ben distante da quella rimediata lo scorso anno, quando incassò il carcere a vita. I giudici della Terza Corte d’assise d’appello di Napoli, dando ampio accoglimento alle argomentazioni dei difensori del boss (gli avvocati Antonio Abet, Saverio Senese e Andrea Lucchetta), hanno dunque rivisto al ribasso la condanna di primo grado. Un orientamento, quello espresso dal collegio, che ha lasciato di stucco la Procura: il pg, infatti, non soltanto aveva chiesto la conferma dell’ergastolo, ma in sede di requisitoria aveva usato parole di fuoco nei confronti di Giuseppe Lo Russo, inquadrato come un soggetto ancora oggi socialmente pericoloso e tutt’altro che “redento” per i propri trascorsi camorristici.

Il 67enne boss di Miano, dal canto suo, già nel processo di primo grado aveva ammesso le proprie responsabilità in ordine al delitto, dissociandosi tra l’altro dal proprio passato di malavitoso, ma aveva anche fornito una lunga serie di precisazioni, ricostruendo l’escalation di eventi che avevano portato all’epurazione interna costata la vita a Palumbo. Lo Russo, in particolare, ha sostenuto di essersi limitato a dare il proprio consenso al delitto, di fatto già deciso da Ettore Sabatino e Salvatore Torino “’o cassusaro”, all’epoca già responsabili di un proprio gruppo autonomo e in seguito passati tra le fila dei collaboratori di giustizia, diventando proprio i principali accusatori di Peppe Lo Russo. Francesco Palumbo, stando a quanto rivelato dal boss, sarebbe stato ucciso perché era a conoscenza del luogo in cui Sabatino e Torino custodivano l’arsenale del clan che avevano appena fondato. Le delucidazioni e le ammissioni alla fine hanno fatto breccia e così l’ultimo boss di Miano è riuscito a evitare la stangata: ergastolo cancellato e condanna rideterminata in vent’anni di reclusione.

Confermata invece la condanna a dieci anni per il pentito Ettore Sabatino. Francesco Palumbo, assassinato il 7 giugno 1994, «era un nostro affiliato e venne ucciso da me ed Ettore Sabatino su incarico di Giuseppe Lo Russo», aveva rivelato Salvatore Torino, aggiungendo: «Fu ammazzato perché venimmo a sapere che aveva fatto delle confidenze alla polizia». Salvatore Torino “’o cassusaro” nel 1994 era un esponente di spicco dei Lo Russo prima di trasferirsi alla Sanità costruendo un gruppo alleato e poi in contrasto con i Misso. Si è accusato dell’agguato mortale a Palumbo e ha tirato in ballo il presunto mandante, il boss dei “Capitoni” da tempo detenuto al 41 bis, e Sabatino, come lui collaboratore di giustizia. «Ero il referente - ha messo a verbale Torino - della gestione del traffico di stupefacenti. Avevo un nascondiglio destinato a ciò nella zona di Arzano, di cui sapevamo solo io e Palumbo. Accadde che quest’ultimo fu fermato dall’antidroga con 12 pacchettini di eroina, ciascuno con 11 dosi. Tuttavia non fu arrestato. Per prudenza spostammo la droga e le armi dal nascondiglio di Arzano a un altro in via Janfolla. Anche di quest’ultimo sapevamo soltanto io e Palumbo. Dopo qualche giorno ci fu una perquisizione e sul lastrico solare del palazzo furono trovate armi».

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori