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17 Maggio 2022 - 07:00
Il pentito Umberto “’o lione” rivela: «Sapemmo che era pronto a ucciderci»
NAPOLI. Padre e figlio parteciparono all’agguato: Luigi D’Amico come mandante, Umberto D’Amico come componente del gruppo di fuoco che uccise l’11 ottobre 2009 Patrizio Reale “’o Patriziotto”. Ma a distanza di anni il secondo è diventato collaboratore di giustizia, accusando il genitore e gli zii oltre che gli altri affiliati coinvolti. Complessivamente in sette, tutti destinatari di misura cautelare per omicidio aggravato dal metodo mafioso eseguita ieri mattina tranne il pentito, da ritenere innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. Il movente sta nella guerra che per lo spaccio di droga allora infuriava tra i “Gennarella”, alleati dei Mazzarella, e i ras di Pazzigno, vicini ai Rinaldi e all’Alleanza di Secondigliano.
Sono stati i poliziotti della sezione “C.O.” della Squadra mobile della questura di Napoli (dirigente Alfredo Fabbrocini, vice questore Andrea Olivadese) a indagare con il coordinamento della Dda e a eseguire le 6 ordinanze di custodia cautelare a carico dei fratelli ras Salvatore D’Amico “’o pirata”, 48 anni; Luigi D’Amico “Gigiotto”, 53; Gennaro D’Amico detto “Ennaro”, 47; Armando De Maio, 30; Ciro Ciriello, 36; Gesualdo Sartori. Con loro è indagato (ai domiciliari in località segreta e sotto protezione) Umberto D’Amico “’o lione”, di cui riportiamo i passaggi in cui accusa se stesso e i complici. Altri pentiti che hanno parlato sul delitto sono Vincenzo Battaglia, Alfonso Mazzarella, Cristiano Piezzo, Maurizio Ferraiuolo e Tommaso Schisa. «Ho commesso l’omicidio di Patrizio Reale - ha messo a verbale Umberto D’Amico - con il ruolo di staffetta nel 2009. I mandanti sono mio padre Luigi, i miei zii Salvatore e Gennaro. Esecutori materiali Gesualdo Sartori e Armando De Maio. Ciro Ciriello ha fatto da staffetta con me mentre a sparare è stato Armando. Il motorino lo abbiamo bruciato a Marigliano. La pistola l’ho buttata giù alla marina, dove sta Porto Fiorito: era una 38 special. Io ero sulla mia macchina, una “classe B”, insieme a Ciro Ciriello.
Gesualdo Armano erano su un “Sh” nero rubato». “’O lione”, sempre nel corso dello stesso interrogatorio risalente a fine 2019, ha riferito della decisione di uccidere Patrizio Reale. «Eravamo a tavola, a casa di mio zio Gennaro, io, i mei zii salvatore e Gennaro, Gennaro Improta, mio padre, Gesualdo Sartori, Ciro Ciriello. Avevamo saputo che Patrizio Reale ci voleva uccidere e che spacciava in casa. Mandammo Sartori a comprare la droga e lui gli apriva. Dopo tre o quattro volte abbiamo mandato Gesualdo Sartori e Armando De Maio per l’omicidio. Siamo arrivati all’abitazione di Patrizio Reale, sotto la quale c’era un circoletto all’interno di un cancello. Io e Ciriello ci siamo fermati fuori, Gesualdo e Armando sono entrati, hanno sparato e sono usciti. Li abbiamo aspettati e li abbiamo seguiti fino a Pontecitra (a Marigliano, ndr), dove abita Armando. Abbiamo deciso di mandare lui perché venendo da fuori era più facile che non fosse preso dalla polizia»
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