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Piatto vuoto: a Napoli mancano pizzaioli

Piatto vuoto: a Napoli mancano pizzaioli

Staiano: «Colpa nostra, non li abbiamo formati. Ma la Regione ora si attivi per non perdere il brand che vale quanto il "marchio Ferrari"»

NAPOLI. Locali che rischiano di restare chiusi. E dal Lazio in su il comparto è in mano agli egiziani. «Il problema è serio, serio, molto serio. E la nostra Regione deve fare una battaglia per mantenere la titolarità del brand dei pizzaioli professionisti napoletani» la voce di Vincenzo Staiano, il “pizzaiolo del Papa”, sale di tono perché il suo è un grido d’allarme per l’intera categoria. Staiano è diventato una celebrità non solo per il suo locale panoramico “Zi’ Aniello”, a Casola di Napoli, ma soprattutto per le opere di solidarietà che da anni unisce all’attività imprenditoriale, con il suo impegno di maestro pizzaiolo nella fondazione “’a voce de’ creature” di don Luigi Merola. «Napoli non sforna più, è il caso di dire, professionisti della pizza. E gli imprenditori del settore sono in ginocchio» spiega.

La crisi del personale di ristorazione e turistico ha investito anche questa categoria. Al punto che si registrano mancate aperture estive dei locali sul mare e anche le pizzerie con una storia alle spalle sono in grave difficoltà. «Siamo arrivati al punto che ci si “ruba” l’un l’altro i ragazzi addetti ai forni - spiega il cavalier Staiano - I titolari delle pizzerie avvicinano i pizzaioli delle aziende concorrenti e gli offrono compensi più alti per poterli “scippare” ai luoghi dove prestano il loro lavoro».

Ma, come, proprio a Napoli? Il regno della pizza?

«Sì, anche a Napoli, direi. Perché ormai, dal Lazio in su, la crisi ha già invaso il territorio, al punto che questo comparto è passato in gran parte in mano agli egiziani e i nostri ragazzi sono diventati dei loro sottoposti».

Accadrà anche da noi?

«Certo, è già successo nell’agricoltura dove, per fortuna, gli immigrati hanno sostituito la manodopera carente. Ma adesso anche il comparto delle pizzerie, che io definirei la prima industria in Italia, sta soffrendo una drammatica carenza di personale».

Di chi è la colpa?

«Innanzitutto della nostra categoria. Perché, quando anni fa abbiamo avuto il periodo delle “vacche grasse”, con molti ragazzi disposti a entrare nel settore, ebbene questi non sono stati formati. Molti imprenditori li hanno messi a spazzare il pavimento. Non gli hanno insegnato il mestiere e nemmeno li hanno motivati con un giusto compenso, nel timore che andando via aprissero nuovi locali che gli facessero concorrenza. E ora li rimpiangono. Però, io dico che la colpa è anche dei genitori che oggi non sono onesti con i propri figli».

Cioè?

«Io sono nato in una famiglia umile, dove i patti erano chiari: chi studia e può emergere va a scuola. Chi non eccelle deve imparare un mestiere. Invece, oggi ognuno pretende che i propri figli vivano senza pensare al domani I genitori si auto-tassano per dare a propri ragazzi la spensieratezza, che diventa irresponsabilità. Si dorme fino all pomeriggio, si esce alle 24, soldi in tasca per l’aperitivo e poca scuola. Si perdono gli anni migliori per la formazione. Che non deve essere sempre e soltanto scolastica. Chi mette impegno nell’apprendere il lavoro del pizzaiolo o dell’idraulico o dell’elettricista, o del falegname miete soddisfazioni economiche e si realizza con pari dignità perché in ogni lavoro si può e si deve creare bellezza. E con questi mestieri, se ben appresi e attuati, in Italia abbiamo sempre creato bellezza».

Ma quest’anno come andrà la stagione estiva?

«È già abbastanza nera. Ci sono pizzerie che in costiera non apriranno, per la carenza di personale. Io, dopo 40 anni di attività, sono statao costretto a scendere di nuovo in campo, a lavorare in prima linea».

Si può porre rimedio?

«Solo se formeremo immediatamente le nuove leve. Serve una seria scuola di formazione del comparto. Ma che non chieda una retta ai genitori, perché non gli si accolli il peso economico di formare un ragazzo in questo lavoro. Anzi, Regione e Governo devono prevedere dei voucher per i ragazzi che vanno a mestiere, da abbinare a una paga da parte dell’imprenditore che li prende con sé. Questo settore deve rimanere un brand napoletano. Oggi, essere pizzaiolo napoletano vale quanto il “marchio Ferrari”. I ragazzi devono capire che al l’estero questa è una carta vincente, che apre le porte e offre soddisfazioni professionali. Bisogna rendere attraente questo lavoro, com’è stato fatto per gli chef».

Lei, intanto, continua a fare volontariato nella formazione, insieme con don Luigi Merola…

«Dagli inizi di maggio abbiamo avviato nuovi corsi per pizzaioli. Abbiamo 10-12 adesioni di ragazzi che, dopo la scuola, anziché stare in strada, vengono a imparare il mestiere. Per sei mesi staranno a questa scuola che gli servirà per la vita. Loro lo hanno capito e sperano di poter fare questo lavoro per poter girare il mondo». Cosa impareranno? «L’essenziale per diventare dei buoni pizzaioli: il carattere delle farine, i tempi per gli impasti, quelli della lievitazione, gli ingredienti, la qualità e la scadenza, la manualità per la stesura, la conoscenza della temperatura per il forno e poi un buon rapporto con la clientela, il giusto linguaggio... Ma poi il reddito futuro di un buon pizzaiolo è soddisfacente. Chi lavora nei grandi centri turistici, come Positano o Capri, ad esempio, oltre a vitto e alloggio può contare su 2.500-3mila euro al mese».

Richiede comunque sacrificio…

«Tutti i lavori lo richiedono: amore, passione e sacrificio».

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