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01 Giugno 2022 - 07:00
Inchiesta Tufò, il pg invoca la conferma delle 21 condanne di primo grado
NAPOLI. I narcotrafficanti della Napoli bene a tutta velocità verso la seconda stangata giudiziaria. A poco più di due anni di distanza dalla maxi-inchiesta che ha disarticolato il cartello di broker e pusher che per anni ha invaso di cocaina i salotti “buoni” della città, la Procura tenta l’affondo e, dopo aver ottenuto ventuno condanne nel febbraio dello scorso anno, invoca la conferma di tutte le pene fin qui inflitte. A rischiare grosso sono soprattutto i presunti capi della holding, che in primo grado, nonostante la scelta del rito abbreviato, avevano incassato fino a 18 anni di reclusione. Con la relazione del procuratore generale entra dunque nel vivo il processo che si sta celebrando innanzi ai giudici della sesta sezione della Corte d’appello di Napoli. La Procura, forte del verdetto favorevole ottenuto lo scorso anno, ha tenuto il punto e chiesto ai giudici di secondo grado di ribadire tutte le condanne.
La pena più alta era stata quella inflitta al capo dell’organizzazione, il “ras” Ciro Capasso: 18 anni di carcere a fronte di una richiesta del pm Ida Teresi a 20 anni. Condanna severa anche per il figlio Antonio, che ha rimediato 16 anni a fronte di una richiesta di 18 anni: quest’ultimo all’epoca del blitz era balzato agli onori della cronaca in quanto proprietario di “Tufò”, la nota trattoria gourmet di via Posillipo utilizzata all’occorrenza come quartiergenerale dell’organizzazione, e le sue quote societarie finirono sotto sequestro. Al netto delle pene inflitte ai vertici della holding, non erano comunque mancati alcuni colpi di scena, con condanne inferiori rispetto alle richieste avanzate dal pm in sede di requisitoria nel precedente settembre. Ecco dunque nel dettaglio il verdetto pronunciato dal gip: Maurizio Ambrosino, 8 anni di reclusione; Giammarco Ammendola, 7 anni; Antonio Capasso, 16 anni; Ciro Capasso, 18 anni; Vincenzo Caputo, 12 anni; Pasquale Catalano, 4 anni e 4 mesi; Mariano Ceci, 10 anni; Lorenzo Di Palma, 6 anni; Giuseppe Flessigno, assolto dall’accusa associativa e da tre episodi di spaccio, 5 anni; Antonio Grimaldi, 6 anni; Rosario Lumia, 12 anni in continuazione tra tre diverse sentenze; Michaela Iodice, 4 anni; Francesco Lione, 4 anni; Andrea Aruta, 6 anni; Alessio Onorato, 4 anni; Carmine Pandolfi, 9 anni; Antonio Russo, 6 anni e 8 mesi; Raffaele Sciarra, 6 anni e 8 mesi; Marco Vicinanza, 10 anni; Ciro D’Ambrosio, 4 anni; e Carlo Giannelli, 4 anni. A mettere all’angolo l’organizzazione di narcotrafficanti della Napoli bene non è stata soltanto la raffica di intercettazioni ambientali e telefoniche raccolte dagli investigatori della guardia di finanza.
È stato il collaboratore di giustizia Andrea Lollo a imprimere all’inchiesta lo sprint iniziale nella fase embrionale dell’indagine. Già tre anni fa, infatti, il pentito ha fornito agli inquirenti della Dda di Napoli i nomi di Ciro e Antonio Capasso, descrivendo in modo circostanziato il raggio d’azione del loro business. E quello di Lollo non era un profilo criminale qualsiasi, come confermano le numerose inchieste giudiziarie nelle quali è rimasto coinvolto.
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