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Omicidio del ras “Patriziotto”, il Riesame grazia il capoclan

Omicidio del ras “Patriziotto”, il Riesame grazia il capoclan

Delitto Reale, reggono le accuse per gli altri due fratelli Luigi e Salvatore

NAPOLI. Il super pentito non convince fino in fondo e per Gennaro D’Amico, boss di San Giovanni a Teduccio e presunto mandante insieme ai fratelli Salvatore e Luigi dell’omicidio del ras rivale Patrizio Reale, le porte del carcere tornano a riaprirsi. Il capoclan di Napoli Est resta al momento detenuto per un cumulo di pene a trent’anni relativo ad altri due delitti, ma la decisione maturata ieri dai giudici dell’ottava sezione del Riesame rischia adesso di aprire una crepa profonda sull’inchiesta che poche settimane fa sembrava aver fatto luce sull’assassinio avvenuto al rione Pazzigno nel lontano 2009. Le indagini - vale la pena ricordarlo - avevano portato all’esecuzione di sette arresti, killer e mandanti, e la svolta sul caso era arrivata grazie al recente pentimento del ras e killer Umberto D’Amico “’o lione”, il quale aveva sostanzialmente dato riscontro alle precedenti ricostruzioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Battaglia, ex sicario del clan Formicola che già nel 2012 aveva parlato del delitto Reale. In sede di Riesame si sono però rivelate vincenti le argomentazioni del difensore di Gennaro D’Amico, l’avvocato Sergio Lino Morra, il quale, oltre a porre l’accento sul fatto che le informazioni di Battaglia fossero state apprese “de relato”, ha evidenziato un’ulteriore, importante circostanza: da nessuna delle intercettazioni ambientali effettuate all’epoca dei fatti emergeva il coinvolgimento di Gennaro D’Amico nel delitto.

Da qui la clamorosa decisione dei giudici delle Libertà di annullare l’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico del ras di San Giovanni a Teduccio. Accuse confermate invece per gli altri due presunti mandanti, Salvatore D’Amico “’o pirata” e Lugi D’Amico (padre del pentito Umberto), oltre che per Ciro Ciriello. Ordinanza annullata, infine, anche l’allora minorenne, oltre che genero di Salvatore D’Amico, accusato di aver preso parte all’omicidio, scagionato grazie alle argomentazioni dei suoi legali, gli avvocati Leopoldo Perone e Saverio Senese.

L’agguato mortale ai danni di Patrizio Reale arrivò come un fulmine a ciel sereno durante la - seppur breve - tregua tra i clan di San Giovanni. «Ho commesso l’omcidio di Patrizio Reale - ha messo a verbale Umberto D’Amico - con il ruolo di staffetta nel 2009. I mandanti sono mio padre Luigi, i miei zii Salvatore e Gennaro. Esecutori materiali Gesualdo Sartori e Armando De Maio. Ciro Ciriello ha fatto da staffetta con me mentre a sparare è stato Armando. Il motorino lo abbiamo bruciato a Marigliano. La pistola l’ho buttata giù alla marina, dove sta porto Fiorito: era una 38 special. Io ero sulla mia macchina, una “Classe B”, insieme a Ciro Ciriello. Gesualdo Armano erano su un Sh nero rubato». “’O lione”, sempre nel corso dello stesso interrogatorio ha riferito della decisione di uccidere Patrizio Reale: «Avevamo saputo che Patrizio Reale ci voleva uccidere e che spacciava in casa». Un sospetto che di lì a breve e dopo alcuni sopralluoghi mirati innescò l’implacabile esecuzione del ras.

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