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01 Luglio 2022 - 07:57
Faida di Forcella, esclusa la premeditazione in appello: la moglie del boss Buonerba se la cava con 20 anni
NAPOLI. La faida di Forcella si arricchisce di un nuovo, importante capitolo processuale. Dopo le condanne (definitive) rimediate dai responsabili, morali e materiali, dell’omicidio di Salvatore D’Alpino e del ferimento dell’innocente Sabatino Caldarelli, ieri mattina si è concluso il processo d’appello per l’ultima donna del commando, Emilia Sibillo, consorte del ras Giuseppe Buonerba. La donna in primo grado era stata condannata a trent’anni di reclusione, ma la pena, grazie all’esclusione dell’aggravante della premeditazione, ha subito una drastica “sforbiciata”. Lady Buonerba, difesa dagli avvocati Leopoldo Perone e Sergio Simpatico, ha infatti rimediato vent’anni di reclusione.
La stessa condanna già incassata nel 2019 da Gennaro Buonerba, Luigi Criscuolo, Antonio Amoroso, Assunta Buonerba, Luigi Scafaro e Salvatore Mazio: in pratica l’intera cupola del clan di via Oronzio Costa. L’agguato costato la vita a “Totore ’o brillante” scattò il 30 luglio del 2015 in piazza Mancini, nel cuore della zona Ferrovia: un delitto chirurgico ed efferato, le cui immagini, grazie a una telecamere di videosorveglianza, fecero letteralmente il giro del Paese. Era la fase più acuta e sanguinosa della faida di Forcella: l’atroce guerra che per oltre un anno vide contrapporsi la paranza dei bambini, cioè il cartello Sibillo-GiulianoAmirante-Brunetti, e il gruppo Buonerba appoggiato dal potente clan Mazzarellla. Stando a quanto emerso dell’inchiesta che di lì a breve avrebbe azzerato le due cosche, D’Alpino, uomo molto vicino al babyras dei Sibillo Antonio Napoletano “’o nannone”, dava molto fastidio ai Buonerba in quanto andava a riscuotere il pizzo dagli ambulanti della zona di Porta Capuana, area controllata proprio dai Buonerba. Un affronte che a un certo punto questi ultimi decisero di non tollerare più. Quella che ne scaturì fu un’esecuzione implacabile. Nella vicenda il ruolo di Emilia Sibillo (che porta solo il cognome del gruppo avverso) sarebbe stato però marginale.
La difesa, rappresentata dagli avvocati Perone e Simpatico, ha infatti sostenuto e dimostrato come dalle conversazioni captate dagli investigatori emergesse una scansione temporale incompatibile con un omicidio programmato nel tempo. L’avvistamento casuale della vittima indusse infatti a “cogliere l’occasione” come la stesa Sibillo diceva a casa di Gennaro Buonerba. La donna, in particolare, aveva affermato: «St’occasione ce l’ha mandata ’o pateterno». La Quarta Corte d’assise d’appello, esclusa l’aggravante della premeditazione, ha così condannato Emilia Sibillo a vent’anni di reclusione, a fronte dei precedenti trenta. La stessa pena incassata nel maggio del 2019 dagli imputati nel processo principale. Vent’anni avevano infatti rimediato pure Gennaro Buonerba (il mandante del delitto), Antonio Amoroso (che premette il grilletto) e Luigi Criscuolo, Assunta Buonerba, Luigi Scafaro (che aveva avuto il compito di effettuare sopralluoghi per individuare la vittima) e Salvatore Mazio (che affiancò Amoroso nel raid di morte). Tutti, tranne Assunta Buonerba sono stati riconosciuti colpevoli anche di camorra.
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