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26 Luglio 2022 - 07:45
NAPOLI. Fuochi d’artificio hanno accolto ieri sera a Forcella il ritorno a casa, agli arresti domiciliari, di 2 personaggi della criminalità ben conosciuti da investigatori e inquirenti, ritenuti vicini al clan Giuliano: Alessio Vicorito e Antonio Morra. Nonostante la condanna in primo grado a una pena di 4 anni per estorsione con l’aggravante mafiosa, il loro avvocato Roberto Saccomanno è riuscito con un’articolata istanza a ottenere la scarcerazione.
Arrestati il 15 maggio 2021, la scorsa settimana i 2 uomini se la sono cavata più che bene in giudizio: infatti per entrambi il pm ministero aveva chiesto 10 anni di reclusione. Il penalista ha battuto proprio sulla sentenza tutto sommato mite e sulla non indispensabilità del carcere in relazione al pericolo di reiterazione del reato.
La sentenza è stata emessa la scorsa settimana. Alla sbarra c’erano anche Salvatore Giuliano “o’ russ” (ora collaboratore di giustizia e figlio di Luigi “Zecchetella”), che ha incassato 3 anni e 8 mesi; Cesare Morra (assolto e scarcerato); Giuliano Cedola (difeso dall’avvocato Leopoldo Perone) e Cristiano Giuliano (assistito anch’egli da Saccomanno) condannati entrambi a 6 anni e 10 mesi a fronte di una richiesta di 10 anni del pm Cadranno. “Devi pagare noi, non il proprietario”.
Ecco l’anomalo “pizzo”, chiesto con la prepotenza tipica della camorra e ottenuto, su un appartamento che molti anni fa era dei Giuliano e ora è abitato da cittadini stranieri. Ma Salvatore Giuliano, Cristiano Giuliano, Antonio Morra e Giuliano Cedola, rispettivamente di 36, 27, 32 e 30 anni, un anno fa finirono nelle braccia degli investigatori che li monitoravano. Erano circa le 18 quando Salvatore “’o rosso”, il cugino Cristiano Giuliano (figlio di Ciro “‘o barone”), Antonio Morra e Giuliano Cedola “’a polpetta” furono bloccati dai poliziotti della Squadra mobile della questura e dai colleghi della squadra giudiziaria del commissariato Vicaria Mercato.
Gli affiliati al clan erano entrati nello stabile contrassegnato dal civico 7 di vico Pace, nel cuore dello storico quartiere del centro storico, per chiedere il “pizzo” che variava secondo l’accusa tra i 300 e i 400 euro al mese.
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