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Racket, un carabiniere nel mirino dei Mallardo

Racket, un carabiniere nel mirino dei Mallardo

Pizzo sul cantiere, svolta grazie alle accuse del pentito Caracallo. Il ras Palma avrebbe avuto 1.000 euro dal militare: «Era un regalo»

GIUGLIANO. L’indagine che pochi giorni fa ha portato all’arresto per estorsione del ras Armando Palma (nella foto), esponente di spicco del clan Mallardo, sfodera un importante colpo di scena. Dalla lettura degli atti dell’inchiesta emerge infatti che la tangente “della tranquillità” non sarebbe stata imposta a un “semplice” imprenditore, bensì a un militare dell’Arma che in quel periodo - luglio-agosto 2013 - stava costruendo in via Torre Pacifica un’area adibita alla sosta dei mezzi pesanti. Stando a quanto riferito dal pentito reo confesso Filippo Caracallo (deceduto nel 2020), nel mirino della cosca sarebbe inizialmente finita la ditta che stava curando i lavori, ma nella questione si sarebbero poi intromessi i due fratelli titolari dell’area, i quali avrebbero consegnato agli aguzzini la somma di mille euro in contanti, incassata la quale il clan non avrebbe più avanzato ulteriori pretese estorsive. Intanto ieri mattina Armando Palma, noto a malanapoli con l’alias di “Armanduccio 29”, ha affrontato l’interrogatorio di garanzia con il gip Finamore. Palma, difeso dall’avvocato Luigi Poziello, a sorpresa ha deciso di rispondere alle domande del giudice, respingendo con fermezza gli addebiti. Insomma, il ras, che di recente era tornato a piede libero dopo una lunga detenzione, ha professato la propria innocenza, ma per il momento resterà ancora detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Nelle prossime settimane dovrebbe essere chiamato a pronunciarsi il Riesame. Quanto al quadro indiziario, si sono rivelate determinante le dichiarazioni rese dal pentito Caracallo il 18 giugno 2018: «C’è un carabiniere di nome Iazzetta che diceva di essere in servizio a Castello di Cisterna e di essere un maresciallo. Questo carabiniere vive a Giugliano e stava realizzando un piazzale di camion su un terreno di sua proprietà, affittato a Raffaele Antignano. Io e Armando Palma ci recammo sul cantiere e chiedemmo della ditta, che era di Parete. Parlammo con l’operaio e con il titolare, ci presentammo come gli amici di Giugliano e chiedemmo come mai non si fossero rivolti a noi per i lavori in corso di svolgimento». Insomma, la ditta doveva mettersi “a posto”. Stando al racconto del defunto Caracallo, di lì a pochi giorni sarebbe avvenuto il contatto da parte di Antonio Iazzetta, il quale «mi disse che il fratello carabiniere, che fino a quel momento non avevo mai conosciuto, voleva parlare con me. Io ero titubante, ma il fratello mi rassicurò. A quel punto decisi di incontrare comunque il carabiniere, sapendo di fare un azzardo». Dì lì a breve l’incontro tra aguzzini e vittime sarebbe quindi avvenuto: «Arrivarono poi Antonio Iazzetta e il fratello, che è abbastanza cicciottello e si avvicinò a me con aria un po’ arrogante, come per intimidirmi. Mi chiese se mi avessero spiegato che il parcheggio era suo e gli risposi che l’estorsione non era stata chiesta a lui ma alla ditta. Il carabiniere cacciò una busta contenete mille euro e me la porse. Io gli dissi che non era il caso e che non li volevo accettare, ma lui disse che era un regalo che faceva lui agli amici di Giugliano. Presi quindi i soldi e andammo a prendere un caffè». L’affare era stato concluso.

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