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30 Agosto 2022 - 10:26
NAPOLI. Sfrontatezza e prudenza. Due modi diversi di rapportarsi ai social che testimoniano la differenza generazionale tra i ras della camorra napoletana. Da un lato foto e video che dimostrano l’appartenenza, le amicizie e spesso danno involontariamente un aiuto agli investigatori; dall’altro il continuo navigare sott’acqua, scoperto soltanto grazie alle intercettazioni ambientali visto che ormai solo in pochi parlano di affari a cellulare.
Due casi su tutti solo per fare degli esempi (ce ne sarebbero molti altri): Emmanuel De Luca Bossa, reggente dell’omonimo clan di Ponticelli fino al suo recente arresto; Antonio Calone, boss di Pianura di cui si è scoperto solo attraverso le dichiarazioni di un pentito un particolare importante: sul petto si è tatuato il cognome “Mele”, a dimostrazione del legame stretto con la cosca storica del quartiere.
Lui tra l’altro, non si mai mostrato pubblicamente con immagini e filmati. Cominciamo da Antonio Calone (cugino omonimo del ras di Posillipo), zio di Carlo Esposito, a sua volta suocero di Emanuele Marsicano “’o messicano”. Di Calone di Pianura ha parlato il pentito Yussef Aboumouslim, affiliato con un ruolo importante agli Esposito di Bagnoli prima di passare dalla parte dello Stato.
“Avemmo un incontro con i rappresentanti di Pianura all’indomani della scarcerazione di Massimiliano Esposito”, ha messo a verbale il 5 maggio 2021 il collaboratore di giustizia. “C’era tra gli altri Antonio Calone, il quale disse che si sarebbe occupato volentieri del mantenimento dei detenuti e dei familiari dei Mele perché lui era stato il successore sul territorio. Per dimostrare la sua lealtà mostrò un tatuaggio con la scritta “Mele” sul petto”.
Sono stati invece traditi dai social, dove postavano fotografie e video a ripetizione, Emmanuel De Luca Bossa, Giuseppe Damiano e Vincenzo Barbato, arrestati il 29 luglio scorso per una “stesa” a Ponticelli. Avevano involontariamente fornito indizi molto utili per la loro identificazione. Comparando infatti le immagini tratte da Instagram, Facebook e Tik Toc con quelle del sistema cattura targhe e della videosorveglianza in cui si vedono i 3 giovani su 2 motociclette, inquirenti e investigatori hanno notato che i tatuaggi sulle braccia e alcuni capi d’abbigliamento sembrerebbero proprio gli stessi. In particolare, al figlio del boss detenuto Antonio detto “Tonino o’ sicco” è costata cara una camicia a maniche corte bianca con disegnini neri mentre agli amici e soci di malavita galeotti sono stati i disegni cuciti sugli avambracci, in un caso sinistro e nell’altro destro.
La “stesa” nel cuore del territorio controllato dai De Micco, nella ricostruzione dei carabinieri e della procura antimafia, ha origine nella scarcerazioni di alcuni affiliati ai De Luca Bossa che hanno ringalluzzito l’ambiente: Christian Marfella (cui sono stati concessi i domiciliari), e appunto, Cesare Damiano e Vincenzo barbato. I 3 (ferma restando la presunzione d’innocenza fino a eventuale condanna definitiva) insieme con un quarto complice sono entrati in azione il 2 luglio scorso su 2 motociclette: Una Suzuki e una Triumph. A sparare per circa 60 metri sarebbe stato proprio l’unico non ancora identificato, provocando un fuggi fuggi generale tra viale Margherita e via Crisconio. Una scena alla “Gomorra”.
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