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Omicidio del boss “Patriziotto”, il clan va a processo

Omicidio del boss “Patriziotto”, il clan va a processo

NAPOLI. Dopo tredici anni i killer del ras Patrizio Reale potrebbero finalmente essere inchiodati alle proprie responsabilità. Concluse le indagini preliminari, la Procura antimafia ha ottenuto la fissazione del giudizio immediato per i cinque presunti mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di “Patriziotto”.

Processo dietro l’angolo, dunque, per Armando De Maio, il pentito Umberto D’Amico “’o lione”, i fratelli Luigi D’Amico e Salvatore D’Amico e Ciro Ciriello. Per loro l’appuntamento con la Corte d’assise di Napoli è fissato al prossimo 10 novembre. Dopo il favorevole verdetto del Riesame, esce invece dall’inchiesta il terzo dei fratelli ras, Gennaro D’Amico, che resta comunque ancora detenuto per un cumulo di pene che sta terminando di scontare.

L’omicidio di Patrizio Reale e il ferimento di Giovanni Nocerino avvennero l’11 ottobre del 2009 (il boss morì il giorno successivo) e a maggio scorso, dopo quasi tredici anni, i responsabili del raid erano stati finalmente catturati. La svolta sul caso era arrivata grazie al pentimento eccellente del ras e killer Umberto D’Amico “’o lione”, il quale aveva sostanzialmente dato riscontro alle precedenti ricostruzioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Battaglia, ex sicario del clan Formicola che già nel 2012 aveva parlato del delitto Reale.

In sede di Riesame è stato però escluso il coinvolgimento nell’agguato di Gennaro D’Amico. Accuse confermate invece per gli altri due presunti mandanti, Salvatore D’Amico “’o pirata” e Lugi D’Amico (padre del pentito Umberto), oltre che per Ciro Ciriello. Ordinanza annullata, infine, anche per l’allora minorenne, oltre che genero di Salvatore D’Amico, anch’egli accusato di aver preso parte al raid.

L’agguato mortale ai danni di Patrizio Reale arrivò come un fulmine a ciel sereno durante la - seppur breve - tregua tra i clan di San Giovanni. «Ho commesso l’omicidio di Patrizio Reale - ha messo a verbale Umberto D’Amico - con il ruolo di staffetta nel 2009. I mandanti sono mio padre Luigi, i miei zii Salvatore e Gennaro. Esecutori materiali Gesualdo Sartori e Armando De Maio.

Ciro Ciriello ha fatto da staffetta con me mentre a sparare è stato Armando. Il motorino lo abbiamo bruciato a Marigliano. La pistola l’ho buttata giù alla marina, dove sta porto Fiorito: era una 38 special. Io ero sulla mia macchina, una “Classe B”, insieme a Ciro Ciriello. Gesualdo Armano erano su un Sh nero rubato». “’O lione”, sempre nel corso dello stesso interrogatorio ha riferito della decisione di uccidere Patrizio Reale: «Avevamo saputo che Patrizio Reale ci voleva uccidere e che spacciava in casa».

Un sospetto che di lì a breve e dopo alcuni sopralluoghi mirati innescò l’implacabile esecuzione del ras. L’assassinio di “Patriziotto” sarebbe stato dunque il frutto avvelenato dell’ennesimo regolamento di conti tra gli eterni clan rivali Mazzarella-D’Amico e Reale-Rinaldi. Un agguato innescato da questioni di droga. Tra un mese partirà l’iter processuale che farà forse finalmente luce su un cold case troppo a lungo irrisolto.

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