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Traffico di “bionde”, sette condanne

Traffico di “bionde”, sette condanne

NAPOLI. Traffico di “bionde”, gli ultimi esponenti della holding del contrabbando capeggiata dai fratelli Armento incassano sette condanne. Il verdetto del giudice del rito abbreviato è stato però piuttosto mite: il gip, pur confermando l’accusa associativa, ha escluso le aggravanti della transnazionalità e dell’uso di auto modificate per il trasporto dei carichi, motivo per il quale le pene inflitte sono state inferiori rispetto a quanto richiesto dalla Procura.

Il rampollo Ettore Bosti, nipote del boss dei Contini Patrizio Bosti, è stato invece addirittura assolto. Questo, nel dettaglio, il verdetto pronunciato ieri dal gip: Salvatore Barbato, 2 anni e 10 mesi; Ivan Barbato, 2 anni e 3 mesi; Enrico Graus, 2 anni e 2 mesi; Giuseppe Leonetti, 1 anno e 4 mesi; Angelo Speranza, 3 anni e 6 mesi; Antonio Speranza, difeso dall’avvocato Luigi Ferro, 2 anni e 6 mesi; Giuseppe Speranza, anch’egli difeso dall’avvocato Ferro, 2 anni. Ettore Bosti è stato invece assolto con formula piena. Il processo che ha portato gli otto imputati alla sbarra era uno stralcio della maxi-inchiesta che nel 2008 ha portato dietro le sbarre gli ultimi re del contrabbando di sigarette, i fratelli Michele Armento e Giovanni Armento.

Del primo, mai accusato di 416bis, aveva parlato anni fa il pentito Giuseppe Misso junior. Il collaboratore di giustizia fece all’epoca riferimento a una sua presunta opera di mediazione tra la camorra del rione Sanità e quella del quartiere di Secondigliano. Nella primavera del ’99, secondo quanto dichiarò il pentito, ci fu un incontro tra Giuseppe Misso junior e Salvatore Lo Russo: «L’incontro - spiegò il nipote del boss Giuseppe Misso “’o nasone” - nacque dall’esigenza avvertita dalle famiglie di Secondigliano di proporre a noi Misso una sorta di tregua».

Erano anni quantomai tetri, quelli della faida MazzarellaAlleanza di Secondigliano, prima, e Misso-Alleanza di Secondigliano, poi. «Era tornato in libertà Giuseppe Misso quando ci fu proposto quest’incontro attraverso Michele Armento». «Mio zio Giuseppe Misso - continuò il pentito - però non voleva incontrarsi con Salvatore Lo Russo perché non si fidava assolutamente e quindi incaricò me. Vennero nella Sanità a largo Donnaregina Salvatore Lo Russo e Raffaele Perfetto detto “musso ’e scigna”».

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