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11 Ottobre 2022 - 11:39
NAPOLI. Traffico di “bionde”, gli ultimi esponenti della holding del contrabbando capeggiata dai fratelli Armento incassano sette condanne. Il verdetto del giudice del rito abbreviato è stato però piuttosto mite: il gip, pur confermando l’accusa associativa, ha escluso le aggravanti della transnazionalità e dell’uso di auto modificate per il trasporto dei carichi, motivo per il quale le pene inflitte sono state inferiori rispetto a quanto richiesto dalla Procura.
Il rampollo Ettore Bosti, nipote del boss dei Contini Patrizio Bosti, è stato invece addirittura assolto. Questo, nel dettaglio, il verdetto pronunciato ieri dal gip: Salvatore Barbato, 2 anni e 10 mesi; Ivan Barbato, 2 anni e 3 mesi; Enrico Graus, 2 anni e 2 mesi; Giuseppe Leonetti, 1 anno e 4 mesi; Angelo Speranza, 3 anni e 6 mesi; Antonio Speranza, difeso dall’avvocato Luigi Ferro, 2 anni e 6 mesi; Giuseppe Speranza, anch’egli difeso dall’avvocato Ferro, 2 anni. Ettore Bosti è stato invece assolto con formula piena. Il processo che ha portato gli otto imputati alla sbarra era uno stralcio della maxi-inchiesta che nel 2008 ha portato dietro le sbarre gli ultimi re del contrabbando di sigarette, i fratelli Michele Armento e Giovanni Armento.
Del primo, mai accusato di 416bis, aveva parlato anni fa il pentito Giuseppe Misso junior. Il collaboratore di giustizia fece all’epoca riferimento a una sua presunta opera di mediazione tra la camorra del rione Sanità e quella del quartiere di Secondigliano. Nella primavera del ’99, secondo quanto dichiarò il pentito, ci fu un incontro tra Giuseppe Misso junior e Salvatore Lo Russo: «L’incontro - spiegò il nipote del boss Giuseppe Misso “’o nasone” - nacque dall’esigenza avvertita dalle famiglie di Secondigliano di proporre a noi Misso una sorta di tregua».
Erano anni quantomai tetri, quelli della faida MazzarellaAlleanza di Secondigliano, prima, e Misso-Alleanza di Secondigliano, poi. «Era tornato in libertà Giuseppe Misso quando ci fu proposto quest’incontro attraverso Michele Armento». «Mio zio Giuseppe Misso - continuò il pentito - però non voleva incontrarsi con Salvatore Lo Russo perché non si fidava assolutamente e quindi incaricò me. Vennero nella Sanità a largo Donnaregina Salvatore Lo Russo e Raffaele Perfetto detto “musso ’e scigna”».
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