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14 Ottobre 2022 - 07:35
NAPOLI. Più che un carcere, un “privé” dove poter fare il bello e il cattivo tempo in attesa di aver scontato la pena. Cinquanta indagati e almeno il triplo di telefonini sottoposti a sequestro: sono questi i numeri impressionanti dell’inchiesta con cui la Procura di Bologna ha fatto luce su un vorticoso traffico di telefonini avvenuto all’interno della casa circondariale del capoluogo emiliano tra il 2020 e il 2021.
Nel mirino degli inquirenti sono finiti anche alcuni volti di spicco della criminalità organizzata napoletana, tra i quali spiccano il ras Oreste Fido, capozona del clan Mazzarella nell’area della Maddalena, Gennaro Aprea “’o nonno”, specialista delle estorsioni ed esponente di punta dell’omonimo gruppo di Barra, e Salvatore Rispoli, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine di Napoli Est, da cui viene ritenuto uno dei “sergenti” del temibile clan Formicola di San Giovanni a Teduccio.
La delicata inchiesta condotta dai pubblici ministeri bolognesi è culminata ieri nella notifica dell’atto di conclusione delle indagini preliminari: un passaggio chiave, che con tutta probabilità farà da apripista a un imminente rinvio a giudizio. A rischiare grosso sono cinquanta indagati, tutti all’epoca detenuti nel carcere di Bologna, i quali sono a vario titolo accusati di aver detenuto senza alcuna autorizzazione telefoni cellulari dotati di scheda Sim.
Tra i partenopei spiccano, oltre a Fido, Aprea e Rispoli, anche altri nomi già in passato più volte balzati alla ribalta della cronaca: Antonio Casella, 45 anni; Simone Iacomino, 38enne ritenuto vicino ai Mazzarella; Carlo Monaco, 52enne di Torre Annunziata; Enrico Palummo, 35 anni; Antonio Sentiero, 41enne di Pompei; e Ciro Terracciano, 58enne di Cercola.
Tornando ai “vip” della mala napoletana coinvolti nell’inchiesta, il 49enne Gennaro Aprea, è accusato di aver posseduto due telefonini tra marzo e maggio 2020; la stessa contestazione è stata mossa dagli inquirenti nei confronti del 59enne Oreste Fido, che avrebbe avuto nella propria disponibilità due telefonini tra febbraio e marzo 2020. Salvatore Rispoli avrebbe invece detenuto ben tre dispositivi tra aprile e maggio 2022. Quello del carcere di Bologna è un copione purtroppo già visto in altre importanti strutture detentive del Paese.
E Napoli non fa eccezione, come conferma la recentissima inchiesta che pochi mesi fa ha travolto la casa di reclusione di Secondigliano, all’interno della quale era stato messo in piedi, oltre a un importante traffico di telefonini, anche una vera e propria piazza di spaccio di droga. All’affare, stando a quanto accertato dagli inquirenti che hanno lavorato al caso, avrebbero preso parte alcuni degli esponenti di punta dei clan di mezza Napoli: dai Vigilia di Soccavo agli Elia di Monte di Dio.
Le indagini avevano poi rivelato anche il coinvolgimento di alcuni agenti penitenziari, che per ogni “operazione” andata a buon fine intascavano una lauta mazzetta. Un modus operandi che potrebbe non essere stato troppo dissimile da quello utilizzato nel carcere di Bologna.
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