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28 Ottobre 2022 - 08:15
NAPOLI. Chiara non ne poteva più, era disperata. E la sua disperazione l’ha portata a 19 anni a togliersi la vita nella sua stanza, in quell'appartamento a Scampia, dove viveva con la madre e le sorelle. Chiara era una transgender, che due anni fa, appena diciassettenne si rivolse al numero verde contro l'omotransfobia del Gay Center di Roma. Agli operatori raccontò di scelte difficili, sofferte, anche in famiglia almeno in un primo momento. Ma peggio di tutto era passare nel suo quartiere, veniva spesso presa in giro, quando le andava bene; o aggredita quando bene non le andava. A scuola era bullizzata, tanto da farla decidere di abbandonare gli studi.
«A volte mi chiedo - scrisse Chiara in una lettera - cosa ci sia di sbagliato in me. In fondo sono sempre un essere umano. Io mi sento una donna, vorrei riconoscermi, vestire al femminile e non da maschio, vorrei avere più spazio, essere tranquilla e non avere paura. Mi sento in un labirinto senza uscita». Da quel labirinto Chiara cerò di uscire, si rivolse alla polizia. Venne accolta in una comunità, dove è rimasta fino a 18 anni, come prevede la legge quando una giovane decide di interrompere gli studi. Se invece avesse studiato avrebbe potuto usufruire dell'ospitalità fino ai 21 anni. E così a 18 anni, senza soldi, senza istruzione e senza un lavoro, Chiara ha fatto ritorno a casa. Il padre nel frattempo era morto, la mamma disabile e le sorelle l’hanno accolta. Ma quel labirinto l’ha stretta un’altra volta e stavolta Chira non ne è più uscita. Dopo la denuncia, che Gay Help Line l'ha aiutata a presentare, Chiara aveva trovato accoglienza in una comunità ed il supporto delle associazioni Lgbt+.
«Ma la strada per chi denuncia è in salita, in particolare per i ragazzi minorenni: l'assenza di protocolli di protezione e allontanamento immediato dagli autori delle violenze, il lungo ed estenuante percorso della giustizia che spinge le giovani vittime a giustificarsi, la mancanza di comunità per minori che accolgono ragazze e ragazzi trans sulla base della loro identità del genere e non del sesso, il rischio di essere vittimizzati da operatori impreparati ad accogliere le identità senza pregiudizi. Tutto questo Chiara aveva dovuto e saputo affrontarlo. Ci era passata attraverso. Ma non c'è l'ha fatta», racconta Gay Center.
«È fondamentale e urgente trovare soluzioni strutturali per fermare la violenza, formando personale educativo e sociosanitario consapevole e pronto a sostenere lo sviluppo fisico, psicologico e sociale dei ragazzi lgbt+, come loro diritto», sottolinea Alessandra Rossi, responsabile Gay Help Line di Gay Center «Ho seguito Chiara fino a pochi mesi fa, ed unisco il cordoglio a quello dell'associazione, e dei suoi cari, e proprio nella sua memoria lavoreremo per accogliere sempre più ragazze e ragazzi come lei che vengono emarginati dalla società o dalle famiglie», assicura Sonia Minnozzi, responsabile della Casa famiglia Refuge Lgbt.
«È una vera tragedia constatare che ancora oggi un diciannovenne possa suicidarsi per questioni legate all'identita di genere ci dimostra che c'è ancora tanta strada da fare. Questa amministrazione è molto sensible al tema. Non a caso Napoli è stata la prima città ad inaugurare una casa comunale per accogliere le persone Lgbtqi» ha detto l'assessore comunale alle pari opportunità Emanuela Ferrante. «Nei prossimi giorni approveremo in giunta una delibera per istituire un osservatorio comunale sulla realtà Lgbtqi per il contrasto all'omotransfobia».
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