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12 Novembre 2022 - 08:55
NAPOLI. Nuova raffica di condanne per gli insospettabili narcotrafficanti dal volto da bravi ragazzi. L’inchiesta che due anni fa ha disarticolato il “sistema Tufò”, dal nome della trattoria di via Posillipo in cui avvenivano i summit tra i capi dell’organizzazione, supera anche lo scoglio del secondo grado di giudizio e per broker e spacciatori della Napoli bene arriva un’altra tegola: sono state infatti ben diciotto le pene inflitte dai giudici della Sesta sezione della Corte d’appello. Al netto delle stangate rimediate dei vertici della holding, non è però mancato qualche colpo di scena. La Corte d’appello ha infatti rivisto al ribasso dodici condanne: Ciro Capasso, difeso dall’avvocato Domenico Dello Iacono, 18 anni di reclusione in continuazione con altra sentenza; Mariano Ceci, 9 anni grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche; Ciro D’Ambrosio, 3 anni e 6 mesi con patteggiamento; Lorenzo Di Palma, 5 anni e 6 mesi con patteggiamento; Antonio Grimaldi, 6 anni e 11 mesi in continuazione con altra sentenza; Alessio Onorato, 3 anni e 6 mesi con patteggiamento; Carmine Pandolfi, 7 anni e 4 mesi grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche; Antonio Russo, difeso dall’avvocato Luca Mottola, 7 anni e 4 mesi in continuazione con altra sentenza; Marco Vicinanza, 9 anni e 2 mesi in continuazione con altra sentenza. I giudici di appello hanno invece confermato le pene inflitte nel febbraio 2021 a Maurizio Ambrosino, 8 anni di reclusione, Gianmarco Ammendola, 7 anni, Antonio Capasso, 16 anni; Vincenzo Caputo, 12 anni, Carlo Giannelli, 4 anni, Michaela Iodice, 4 anni, Rosario Lumia, 12 anni in continuazione con altra sentenza, Francesco Lione, 4 anni e Raffaele Sciarra, 6 anni. A mettere all’angolo l’organizzazione di narcotrafficanti della Napoli bene non era stata soltanto la raffica di intercettazioni ambientali e telefoniche raccolte dagli investigatori della guardia di finanza. Anche il collaboratore di giustizia Andrea Lollo aveva impresso all’inchiesta lo sprint iniziale nella fase embrionale dell’indagine. Già quattro anni fa, infatti, il pentito ha fornito agli inquirenti della Dda di Napoli i nomi di Ciro e Antonio Capasso, descrivendone in modo circostanziato il raggio d’azione del loro business. Quello di Lollo, vale la pena ricordarlo, non è un profilo criminale di secondo piano, anzi. In merito alla vicenda oggetto del processo, l’ex narcos aveva affermato: «Tra i rivenditori sono in grado di riferire i rapporti avuti anche con Ciro e Antonio Capasso, padre e figlio, proprietari del ristorante “Tufò” di Posillipo. Preciso che Antonio abita a Posillipo e ha anche una casa a Casoria, so che da ultimo ha trasferito la titolarità del ristorante a un prestanome. Ciro ha invece collegamenti a Catania, sempre per il traffico di cocaina». Proprio la nota trattoria gourmet con sede in via Posillipo era stata individuata dalla guardia di finanza - che aveva condotto le indagini sul caso - come la base logistica dell’organizzazione, che in diverse occasioni aveva tenuto al suo interno importanti riunioni di “lavoro”. Le quote societarie di Capasso junior erano così finite sotto sequestro.
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