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Regno di cocaina, le chat criptate per gli ordini: il carico partiva dalla Colombia

Regno di cocaina, le chat criptate per gli ordini: il carico partiva dalla Colombia

NAPOLI. Cocaina a mezzo mondo. Raffaele Imperiale, Bruno Carbone e soci avevano impiantato una holding che definire super organizzata è riduttivo. I compiti erano distribuiti con precisione estrema e ogni precauzione veniva presa per evitare di finire nella rete degli investigatori, comprese le chat criptate con i pin. La mente era Raffaele Imperiale, in grado di comandare da Dubai attraverso comunicazioni coperte a cadenza giornaliera con acquirenti e soci in affari. Così trattava con i fornitori di cocaina, nei Paesi Bassi, in Spagna e in Colombia. Ma non solo: teneva costanti contatti con i responsabili dell’importazione e dell’esportazione della droga in Italia e in Europa, assicurandosi la perfetta riuscita dello stoccaggio e del trasporto. Inoltre, gestiva i rapporti con gli acquirenti sia con gli emissari del suo stesso clan, gli Amato-Pagano, che con altre cosche. Infine, trovava pure il tempo di impartire direttive per la tenuta della contabilità delle compravendite e della cassa, per il riciclaggio e il rimpiego dei profitti con l’apertura di conti corrente e la costituzione di società soprattutto nell’Europa dell’est. Un’attività frenetica da far girare la testa, con cifre complessive a 9 zeri. A Bruno Carbone, compagno di latitanza a Dubai e fidato luogotenente, Raffaele Imperiale aveva affidato un incarico in particolare oltre alla condivisione degli obiettivi con relative azioni esecutive. Il pregiudicato, estradato appena due giorni fa dagli Emirati Arabi e ora in carcere a Rebibbia, aveva il delicato incarico di gestire la catena logistica dell’importazione dello stupefacente in Italia e dei depositi di stoccaggio in Olanda nonché il controllo sulla tenuta della contabilità. Restando nel campo degli indagati considerati legati alla malavita organizzata del Napoletano, la procura antimafia con la polizia e la guardia di finanza hanno delineato i ruoli di Marco Liguori e Fortunato Murolo, organizzatori e destinatari quali esponenti di vertice del clan Amato-Pagano della sostanza stupefacente, che ricevevano a scadenze programmate e del cui trasporto si occupava Antonio De Dominicis. Importante anche il profilo di Corrado Genovese, esperto di banche e finanze che si occupava di trasferire denaro contante (sia attraverso canali bancari che fiduciari a mano) nelle nazioni in cui la holding Imperiale aveva bisogno di liquidità per pagare la cocaina, costituire società ad hoc e aprire conti corrente, investire e acquistare beni per riciclare i soldi sporchi. Una novità emersa nell’inchiesta riguarda il narcotraffico con l’Australia, ritenuta finora troppo lontana per un’attività illecita del genere. Dei rapporti oltreoceano si occupava, nella ricostruzione dell’accusa , Charles David Mirone. Era lui l’autore di alcune spedizione all’estere, una in Brasile e l’altra in Australia. C’era poi un gruppo composto da calabresi, che però operava tra il centro Italia e la Puglia: in particolare a Roma, Andria e Pescara. Il capo era Giuseppe Mammoliti e ne facevano parte con ruoli di primo piano Carmine Amedeo Cappelletti, Massimo Ballone e Giovanni Gentile. Un’associazione che aveva disponibilità di armi e in numero superiore a dieci. Va precisato che tutti gli indagati devono essere considerati innocenti fino all’eventuale condanna definitiva.

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