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03 Dicembre 2022 - 09:18
Primo verdetto dopo il blitz del 2017: cinque imputati risarciranno l’Asl. Medici e infermieri assenteisti al Loreto Mare: inflitti oltre 60 anni di carcere
NAPOLI. Trentatre condanne, per oltre 62 anni di carcere, e 51 assoluzioni (tra assoluzioni piene, per particolare tenuità del fatto contestato e, in un solo caso, per prescrizione relativamente a condotte illegali commesse fino al 31 agosto del 2014). Si conclude così il processo di primo grado nei confronti di 84 imputati, medici e infermieri dell’ospedale Loreto Mare, finiti davanti ai giudici della Prima sezione penale del tribunale di Napoli (presidente Federico Somma) nell’ambito del cosidetto processo ai “Furbetti del cartellino”.
Le diciassette pagine del dispositivo sono state lette ieri mattina al termine dell’udienza in un’aula affollatissima di avvocati e imputati cinque dei quali condannati a risarcire i danni all’Asl Napoli 1 (rappresetata dall’avvocato Gennare De Falco) in un giudizio civile separato. Il giorno prima un altro giudice della stessa sezione penale ha invece deciso di non dover procedere nei confronti di due medici per intervenuta prescrizione. L’inchiesta della Procura si concluse con l’esecuzione di una raffica di misure cautelari nel 2017 nei confronti di medici, infermieri e personale amministrativo tenuti sotto controllo dalle telecamere dei carabinieri e quindi sorpresi mentre timbravano il badge per poi allontanarsi dal nosocomio anche solo per sbrigare faccende personali. Gli investigatori impiegarono due anni di indagini, posizionando telecamere nascoste, eseguendo pedinamenti e intercettazioni, per scoprire gli episodi di assenteismo.
Dall’inchiesta era emerso che tre medici con rapporto di esclusività avevano anche un altro lavoro. Era il caso di Trivellini, che secondo gli inquirenti almeno dall’anno 2002 svolgeva “abitualmente”, come precisava il gip, attività privata presso il centro diagnostico di proprietà di madre, sorella e nipote e che porta il suo stesso nome nella zona di Porta Capuana. Anche le intercettazioni telefoniche mostravano questa situazione. E il medico chiamava a volte a lavorare con lui in questa struttura privata un altro medico dirigente in un altro ospedale cittadino, eppure in rapporto di esclusività.
Che questa collaborazione fosse retribuita, lo attestava un sms che la donna inviava a Trivellini il 10 novembre 2014: «Per piacere, se puoi, ti ricordi i mille euro? Devo andare a pagare l’assicurazione al più presto». Un altro medico invece era titolare di fatto di un centro diagnostico formalmente intestato alla moglie, dalla quale risultava separato, anche in questo caso per gli inquirenti solo formalmente. Ed è su youtube che nel gennaio 2014 gli investigatori trovano postate immagini dell’uomo che pubblicizza i servizi del centro in una nota trasmissione televisiva. Al centro l’uomo si reca ogni giorno, anche quando risulta essere in servizio in ospedale.
Dalle intercettazioni inoltre emerge l’insofferenza che il medico ha nel lavorare in una struttura pubblica, che però non lascia perché avrebbe avuto 40 mila euro l’anno in meno da pensionato mettendosi in aspettativa: «C’è poco da fare i conti diceva al telefono a un amico perdo perdo... se fosse tutto l’anno perderei 45 mila euro l’anno». Una vincenda torbida, finalmente giunta al primo approdo giudiziario.
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