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16 Dicembre 2022 - 09:07
Traffico di droga e tentato omicidio di Giovanni Sequino, tutto da rifare per il boss Patrizio e il figlio Antonio
NAPOLI. Agguati e droga al rione Sanità, tutto da rifare per i ras delle Fontanelle. Dopo le severe condanne arrivate in primo e in secondo grado, la Corte di Cassazione ha infatti disposto la celebrazione di un processo di appello per il boss Patrizio Vastarella e il figlio Antonio Vastarella. Sulla loro testa pendevano pesanti accuse: su tutte il tentato omicidio di Giovanni Sequino “’o pallino” e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
La difesa dei Vastarella, rappresentata dagli avvocati Sergio Cola e Arturo Cola, facendo leva sull’incertezza del quadro indiziario, in merito al fatto di sangue, e contestando il ne bis in idem in ordine all’accusa di droga, è riuscita a ribaltare i precedenti verdetti. Gli Ermellini della prima sezione hanno infatti annullato le condanne (20 anni di reclusione per il “padrino” Patrizio e 15 anni e 8 mesi per il rampollo) e disposto la celebrazione di un nuovo processo d’appello. Pene confermate, invece, per i ras rivali Salvatore Sequino e Nicola Sequino.
Il colpo da kappaò era stato messo a segno alla fine del febbraio 2019 e aveva colpito soprattutto i Sequino di via Antesaecula: in 25, già detenuti o liberi, avevano ricevuto la sgradita visita dei carabinieri, che avevano eseguito 22 arresti, e della polizia, altre tre arresti, con in mano il provvedimento restrittivo. Le accuse, a seconda delle varie posizioni, andavano dall’estorsione e dal porto abusivo di armi, allo spaccio di stupefacenti, tutti reati aggravati da finalità e metodo mafiosi, fino all’agguato ai danni di Giovanni Sequino.
Tornando all’accusa di racket, la “mesata”, 500 euro ogni 30 giorni da consegnare a metà mese, non era l’unico “pizzo” che il titolare dell’agenzia vittima del clan era costretto a versare al clan. Gli extra erano una costante e spesso erano chieste dagli uomini dei Sequino sotto forma di anticipo che poi non veniva scalato. Minacce e avvertimenti servivano a tenere buono l’uomo, ma la situazione è cambiata quando la mo-glie non ne ha potuto più e ha varcato la soglia della caserma dei carabinieri. Per quanto riguarda il fatto di sangue, determinanti si sono rivelate le dichiarazioni dell’allora neo pentito Daniele Pandolfi, affiliato ai Vastarella.
Secondo il suo racconto, fu la risposta dei Vastarella all’omicidio di Vittorio Vastarello (errore anagrafico), zio tra l’altro del pentito: «“’O pallino” non faceva parte del clan Sequino, ma fu ferito in seguito all’omicidio di mio zio e fu una reazione di Patrizio Vastarella. Ricordo che sul motorino con Giovanni Sequino c’era Enrico La Salvia “Zapechegno” dell’agguato in quanto membro del clan Sequino, che come ho già detto era a bordo, come passeggero, del motoveicolo condotto da Giovanni Sequino, persona estranea. Il vero obbiettivo era “un uomo qualsiasi del clan Sequino”, come decise Patrizio Vastarella.
Quando dico che Patrizio decideva che si “doveva prendere qualcuno”, intendo dire che egli ne decretava la morte. Antonio Vastarella decise di eseguire lui l’agguato contro il volere di Patrizio; si decise che avesse la collaborazione di Antonio Stella che doveva guidare il motoveicolo e che lo specchiettista fosse Alessandro Pisanelli».
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