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24 Dicembre 2022 - 09:23
NAPOLI. Il bacio sulla bocca per siglare la pace o quantomeno una tregua, ultima versione del gesto simbolico di Gomorra in passato usato soprattutto tra appartenenti allo stesso sodalizio. Anche a Ponticelli, prima dell’ultima faida che ha contrapposto due schieramenti ancora lontani da un accordo, i giovani malavitosi che reggevano i clan in assenza dei capi detenuti trovarono il modo per suggellare la fine delle ostilità. Era la fine del 2020 e infuriava la guerra per la spartizione dei proventi della droga all’interno del maxi cartello che comprendeva tutti. Si erano verificati diversi “botta e risposta” tra la folla con ferimenti, poi i rappresentanti dei gruppi si diedero appuntamento e furono ripresi dalle telecamere mentre si scambiavano il particolare saluto: un secondo di contatto che valeva più di una stretta di mano. Emergono nuovi particolari dall’inchiesta che il 28 febbraio scorso è culminata in ben 66 ordinanze di custodia cautelari, eseguite dagli investigatori dai carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli e dai poliziotti della Questura nei confronti di esponenti della camorra di Napoli est. L’indagine riguarda il periodo in cui i clan di Ponticelli si erano uniti per fare affari per poi spaccarsi. Gli episodi dell’incontro con i baci simboleggianti la tregua, oltre che ripresi in video, sono stati raccontati dal neo pentito Antonio Piccolo detto “Anthony”, componente del gruppo facente capo a Roberto Boccardi “Recchiolone” (clan De Micco). Ne facevano inoltre parte Ivan Ciro D’Apice, Giovanni Palumbo “’o piccione” e Ciro Ricci “il panino”. Tutti e tre, con un quarto non ancora identificato, si incontrarono con Michele Cirella detto “Michelone” (non coinvolto nell’inchiesta), ritenuto contiguo agli “XX”, i De Martino del rione Fiat. Ma come spesso succede negli ambienti camorristici napoletani la pax durò poco, come ha confermato Antonio Piccolo nell’interrogatorio del 3 agosto scorso. «la tregua ha mantenuto fino all’omicidio di Giulio Fiorentino. Io, Palumbo, Ricci, D’Apice e la famiglia De Martino decidemmo di staccarci dai De Luca BossaMinichini-Casella perché non arrivavano più soldi dalle piazze di spaccio in quanto li prendevano loro». Intanto l’altro ieri è finita la latitanza di Ivan Ciro D’Apice, 26enne legato al clan De Micco, di cui si erano perse le tracce fino a qualche giorno fa, quando gli investigatori della sezione C.O. della Squadra mobile della Questura (dirigente Alfredo Fabbrocini, vice questore Andrea Olivadese) e del commissariato Ponticelli (dirigente Avallone) lo hanno localizzato ad Alessandria. Il giovane deve rispondere di un solo capo d’imputazione: associazione camorristica. Di lui ha parlato proprio Antonio Pipolo, tra l’altro suo cugino. Per gli inquirenti, ferma restando la presunzione d’innocenza di tutti gli indagati fino all’eventuale condanna definitiva, il 26enne arrestato ad Alessandria faceva parte del gruppetto insieme con lo stesso Pipolo, Francesco Clienti, Davide Tomi, Nicola Onori e Bruno Solla alle dirette dipendenze di Giovanni Palumbo, che rappresentava sul territorio Boccardi, detenuto.
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