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Il killer e il “sistema Caivano”: risolti i delitti Amaro-Solimene

Il killer e il “sistema Caivano”: risolti i delitti Amaro-Solimene

NAPOLI. Mariano Vasapollo, uomo di punta del clan Sautto-Ciccarelli di Caivano, si lancia a capofitto tra le fila dei collaboratori di giustizia e le sue primissime dichiarazioni hanno già l’impatto di uno tsunami sulla mala del Parco Verde. Il neo pentito ha infatti lanciato una raffica di accuse all’indirizzo del boss Antonio Ciccarelli, alias “munnezza”, indicandolo come il mandante degli omicidi di Gennaro Amaro ed Emilio Solimene. Non solo, l’ex sicario ha svelato agli inquirenti della Dda di Napoli anche i termini della fitta rete di alleanze che la cosca caivanese aveva intessuto con i clan napoletani, in particolare con i Contini e i Sibillo. È il 5 ottobre scorso quando Vasapollo, maturata la decisione di pentirsi, rende ai pm dell’Antimafia il suo primo interrogatorio: «Voglio collaborare per ammettere tutte le cose che ho fatto e uscire fuori da questa vita, per avere una nuova vita con la mia compagna, che si sta ammalando di depressione. Lo faccio soprattutto per lei. Mi assumo la responsabilità dell’omicidio di Gennaro Amaro, che ho commesso su mandato di Antonio Ciccarelli. Hanno partecipato a questo omicidio anche altre persone che non sono state indagate». E ancora: «Quando abbiamo organizzato l’omicidio stavamo sulle scale del palazzo di Antonio Ciccarelli; eravamo io, Corrado Schiavoni, Raffaele Dell’Annunziata che era latitante e c’era anche Gennaro Varriale “’o maiale”. Questa riunione avvenne un mese prima dell’omicidio commesso l’8 agosto 2014». A questo punto Vasapollo conferma una circostanza in precedenza già anticipata dai pentiti Gennaro Masi e Antonio Cocci: l’assassinio di Amaro, così come quello di Solimene, furono il sanguinoso risultato di un’epurazione interna al clan del Parco Verde. «Si decise di ammazzare Amaro - ha spiegato Vasapollo - che dava fastidio sulle piazze di spaccio e perché quando Antonio Ciccarelli era in carcere Amaro voleva appropriarsi del Parco Verde insieme a Emilio Solimene. La decisione è stata presa da Antonio Ciccarelli, è stato lui a emettere la sentenza di morte». Parole pesanti come macigni, che potrebbero condurre il boss “munnezza” verso una sentenza severissima. Quanto alle fasi esecutive: «Gennaro Varriale ha fatto da specchiettista, ovvero mi ha avvisato che Amaro era sotto casa di Antonio Ciccarelli... È stato Schiavoni a recuperare l’arma e a distruggerla. L’aveva fatta tagliare da un fabbro e poi buttata. L’arma che ho utilizzato me l’ha data Ettore Broegg detto “’o russo”, altro affiliato, che custodiva le armi del clan». Stando a quanto riferito, Amaro avrebbe pagato con la vita la sua bramosia di potere. Pur di puntare ai vertici della cosca era infatti disposto a scalzare i ras detenuti e lo stesso era pronto a fare anche Solimene. Vasapollo ha poi riferito diversi dettagli in merito alle alleanze: «Posso riferire anche su Giuseppe Sasso e sui Barbato; sul clan Contini. A tal proposito, io ero molto amico di omissis, esponenti di vertice dei Sibillo, che si incontravano spesso con me per questioni di droga».

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