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18 Gennaio 2023 - 09:36
NAPOLI. Una camorra spietata e pronta a tutto pur di conquistare il controllo degli affari criminali a Ponticelli. Anche a uccidere una donna. Del resto non sarebbe stata la prima volta, come dimostra l’assassinio, avvenuto alcuni anni fa, della ras del Conocal Nunzia D’Amico “’a passillona”. Stavolta a finire nel mirino è stata però almeno sulla carta una seconda linea. Una giovane donna che non aveva la caratura del boss, ma che vantava una parentela a dir poco eccellente, oltre che scomoda: «In precedenza sapevo che doveva essere uccisa Martina Minichini. Ne parlarono a casa mia Marco De Micco, D’Apice e Palumbo in mia presenza», parola del super pentito Antonio Pipolo. Martina Minichini (nel riquadro), 27 anni compiuti a ottobre scorso, è la sorella del boss da tempo detenuto per gravissimi fatti di sangue Michele Minichini, alias “tiger”.
La giovane donna in passato era già balzata alla ribalta della cronaca locale, ma il suo ultimo arresto risale a poche settimane fa: una cattura maturata nell’ambito dell’ennesima inchiesta sul clan con base nel lotto 0. Martina Minichini, secondo gli inquirenti che hanno lavorato alle indagini, dopo gli arresti degli ultimi reggenti, stava progressivamente scalando i vertici dell’organizzazione, tanto da essere sospettata di gestire la cassa del clan.
Quello che emerge oggi, però, è che la 27enne era finita non soltanto nel mirino degli inquirenti, ma anche degli eterni rivali del clan De Micco. A rivelare l’inquietante retroscena è l’ex sicario dei “Bodo”, Antonio Pipolo, che il 27 luglio, nel corso di un lungo interrogatorio, ha spiegato: «In precedenza sapevo che doveva essere uccisa Martina Minichini. Ne parlarono a casa mia Marco De Micco, D’Apice e Palumbo in mia presenza».
In seguito il clan di San Rocco avrebbe però deciso di assassinare Carmine D’Onofrio, figlio del ras Giuseppe De Luca Bossa: «Nella casa di via Scarpetta 245 ha messo a verbale Pipolo ci sono le scarpe Dior che hanno sulla suola l’immagine di un’ape. Quando è stato ucciso Carmine D’Onofrio le indossavo io. Non ho ucciso Carmine D’Onofrio, anche se pensano tutti che sia stato io. Io ho solo preso l’auto e l’ho nascosta.
La Nissan Qashqai utilizzata per l’omicidio. I killer sono partiti da casa mia, sono Giovanni Palumbo e Ferdinando Viscovo. La Nissan era parcheggiata sotto casa mia in un parcheggio. L’avevano messa loro lì una settimana prima. Quando li ho visti partire ho capito che dovevano fare qualcosa. Marco De Micco, Ferdinando Viscovo, Giovanni Palumbo venivano tutte le sere a casa mia. Anche Ciro Riucci e Ciro Ivan D’Apice. Ciro Ricci nell’omicidio ha avuto il mio stesso ruolo. Abbiamo preso l’auto e l’abbiamo nascosta».
Il collaboratore di giustizia ha poi concluso con una precisazione: «Non ho mai partecipato alle riunioni a casa di Marco De Micco nel corso delle quali è stato organizzato l’omicidio di Carmine D’Onofrio. Giovanni Palumbo quando è sceso dalla macchina aveva il sangue addosso sulla visiera del casco».
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