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25 Gennaio 2023 - 08:15
NAPOLI. Tra ras deceduti e defunti sembrava un clan ormai allo sbaraglio, sostanzialmente derubricato a “gang rionale”. Il gruppo Prinno, seppur sotto traccia, anche negli ultimi anni ha invece continuato a darsi un gran da fare e lo avrebbe fatto grazie alla guida discreta - visto il suo status di latitante - del boss Antonio Prinno, che prima dalla Spagna e poi dal Marocco ha continuato a invadere di droga le piazze di spaccio del centro storico di Napoli. Un affare al quale avrebbe preso parte anche il ras di Palazzo Amendola, Arcangelo Trongone, che da lunedì mattina - come anticipato ieri dal “Roma” - si trova in carcere con l’accusa di essere l’esecutore dell’omicidio di Gennaro Fittipaldi. Ai fini dell’inchiesta coordinata dalla Procura antimafia e condotta dalla Squadra mobile si sono rivelate determinante le dichiarazioni rese proprio da Prinno, pentitosi in seguito alla sua estradizione in Italia. L’ex ras di rua Catalana ha fornito ai pm importanti informazioni in merito al delitto del “ribelle” Fittipaldi, ucciso nel maggio 2015 per essere passato con il clan Sibillo, ma anche inediti retroscena sugli affari della cosca di cui era il capo indiscusso. Sul punto, il neo collaboratore di giustizia il 9 dicembre 2020 ha reso un lungo e circostanziato interrogatorio: «Nel periodo dell’omicidio mi trovavo in Marocco, ma stavo cercando comunque di tenere le fila del clan Prinno che era diviso al suo interno. In realtà già nel 2009 c’erano stati dei problemi interni per colpa della condotta di mia zia Giuseppina Russo, moglie di Vincenzo Prinno detenuto, che rivendicava soldi e io ero venuto in Italia perché volevo incontrare Arcangelo Trongone per verificare la possibilità di rinforzare il clan Prinno e ingaggiare una guerra con il clan Mazzarella, perché avevo saputo che i Mazzarella erano coinvolti nell’omicidio di mio zio Giovanni Prinno». Parole pesanti come macigni, destinate forse ad aprire nuovi e clamorosi squarci investigativi. Quanto agli affari della cosca di piazza Borsa, «quando sono rientrato in Spagna ho ricominciato a “lavorare” per il clan cercando di costruire qualcosa a Valencia, nel senso che ho iniziato a creare dei contatti per importare sostanza stupefacente dalla Spagna in Italia. Appreso di essere destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio Russo, me ne sono andato in Marocco e durante tale permanenza ho incrementato i rapporti con il clan e con Arcangelo Trongone, con cui comunicavo tramite blackphone, avendone fatto recapitare uno anche a un mio affiliato, omissis, attraverso un trasportatore marocchino». E ancora: «Avevo necessità di interloquire per avere continui aggiornamenti sulla situazione e sugli equilibri tra i gruppi criminali per accrescere la forza del nostro gruppo», ha ammesso l’ex ras. Intanto, tramite una lettera inviata ieri al nostro giornale, Gianluca Prinno, fratello di Antonio, prende le distanze dal congiunto: «Mi dissocio dalle sue scelte e ne prendo le distanze. Non abbiamo contatti dal 2004-2005».
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