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Camorra, il ras Luigi D’Amico si dissocia

Camorra, il ras Luigi D’Amico si dissocia

NAPOLI. Il processo di primo grado chiamato a fare luce sull’omicidio del ras Patrizio Reale, alias “Patriziotto”, si apre con un importante colpo di scena. Il boss Luigi D’Amico, esponete di punta dell’omonimo gruppo satellite del clan Mazzarella, ieri mattina ha consegnato al giudice una lettera manoscritta con cui ha comunicato la propria volontà di dissociarsi dalla camorra. Non solo, D’Amico ha anche ammesso le proprie responsabilità in merito al delitto dell’11 ottobre 2009, confessando di esserne stato il mandante, ma di aver ordinato l’agguato solo perché temeva un imminente attacco a un proprio strettissimo congiunto. Nonostante la confessione, il pubblico ministero ha però optato per il pugno di ferro, invocando la pena dell’ergastolo per lui, il fratello Salvatore D’Amico “’o pirata”, Armando De Maio e Ciro Ciriello. Per il collaboratore di giustizia Umberto D’Amico “’o lione” il pm ha invece chiesto una pena di 12 anni di reclusione. Con l’udienza celebrata ieri mattina è dunque entrato nella fase clou il processo di primo grado per il delitto Reale: tutti gli imputati hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato, puntando così, in caso di condanna, alla possibilità di spuntare uno sconto sulla condanna. Toccherà adesso agli avvocati difensori Sergio Lino Morra, Domenico Dello Iacono, Giuseppe Perfetto, Leopoldo Perone e Salvatore Impradice provare ad aprire uno squarcio nel quadro indiziario, sperando di ribaltare le sorti di un processo che al momento sembra però tutto in salita. La Procura ha del resto chiesto il massimo della pena, l’ergastolo, per tutti gli imputati, anche per Luigi D’Amico, che ieri mattina ha deciso di prendere pubblicamente le distanze dai propri trascorsi malavitosi e ammettere il proprio ruolo nell’organizzazione dell’omicidio del capozona del rione Pazzigno. Le indagini sul caso erano arrivate a una svolta con la retata di maggio scorso. Padre e figlio parteciparono al raid: Luigi D’Amico come mandante, Umberto D’Amico come componente del gruppo di fuoco. Ma a distanza di anni il secondo è diventato collaboratore di giustizia, accusando il genitore e gli zii oltre che gli altri affiliati coinvolti. Il movente risiederebbe nella guerra che per lo spaccio di droga allora infuriava tra i “Gennarella”, alleati dei Mazzarella, e i ras del rione Pazzigno, vicini ai Rinaldi e all’Alleanza di Secondigliano. In manette finirono così Salvatore D’Amico “’o pirata”, Luigi D’Amico “Gigiotto”, Gennaro D’Amico detto “Ennaro”, scagionato però poi dal Riesame, Armando De Maio, Ciro Ciriello e Gesualdo Sartori. Sul punto, “’o lione” nel 2019 ha riferito: «Eravamo a tavola, a casa di mio zio Gennaro, io, i mei zii salvatore e Gennaro, Gennaro Improta, mio padre, Gesualdo Sartori, Ciro Ciriello. Avevamo saputo che Patrizio Reale ci voleva uccidere e che spacciava in casa. Siamo arrivati all’abitazione di Reale, sotto la quale c’era un circoletto. Io e Ciriello ci siamo fermati fuori, Gesualdo e Armando sono entrati, hanno sparato e sono usciti. Li abbiamo aspettati e li abbiamo seguiti fino a Pontecitra, dove abita Armando».

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