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Clan Senese, inchiesta in frantumi: salvo il boss

Clan Senese, inchiesta in frantumi: salvo il boss

Esclusa in appello l’aggravante mafiosa per tutti gli imputati. Il leader dei Fedayn spera: il processo è da rifare

NAPOLI. I giudici di appello di Roma hanno assolto il ras Michele Senese (nella foto a sinistra), detto “‘o Pazz”, nel processo di secondo grado legato alla maxi operazione “Affari di Famiglia”. I magistrati hanno, inoltre fatto cadere per tutti gli imputati l’aggravante dell’agevolazione di tipo camorristico.

In primo grado Senese, difeso dell’avvocato Valerio Spigarelli, era stato condannato a 15 anni di carcere. Il boss sta scontando la condanna a 30 anni di carcere per l’omicidio di Giuseppe Carlino, avvenuto il 10 settembre 2001 a Torvaianica.

I giudici di appello hanno, tra gli altri, ridotto da 16 a 11 anni la pena per il figlio di Senese, Vincenzo Senese, e da 7 anni a 2 anni e 8 mesi per Raffaella Gaglione, moglie del capoclan. I magistrati, inoltre, hanno inviato gli atti alla Procura di Napoli, dichiarandosi incompetenti, per alcune posizioni tra cui quella di Alessandro Cosentino (nella foto a destra), storico leader della frangia ultras dei Fedayn, difeso in giudizio dagli avvocati Emilio Coppola e Ylenia Maiuri.

Vale la pena ricordare che proprio Cosentino, appena poche settimane fa, aveva già ottenuto la revoca degli arresti domiciliari, tornando completamente a piede libero. Con la sentenza pronunciata ieri i giudici di appello di Roma hanno inoltre dichiarato cessata l’efficacia delle misure cautelari applicate a Michele Senese, Dino Celano, Alessandro Presutti, Mauro Carroccia, Angelo Senese e Domenico Mastrosanti.

Le accuse contestate agli imputati, a seconda delle posizioni, andavano dall’estorsione all’usura, fino al riciclaggio. Il clan Senese, organizzazione storicamente radicata nel comune di Afragola e ramificazioni nel centro Italia, negli anni avrebbe accresciuto il proprio potere economico-criminale allungandosi soprattutto nel Lazio. Il verdetto pronunciato ieri dalla Corte d’appello rischia però di aprire una breccia nell’inchiesta.

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