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18 Febbraio 2023 - 09:01
Le risorse economiche impiegate per l’apertura di un impianto di carburanti a Fuorigrotta erano di provenienza lecita e non, come ipotizzato dalla Procura, frutto delle attività criminali del clan Mazzarella. Lo stesso dicasi per i pagamenti effettuati nei confronti dei fornitori: quei versamenti non sarebbero serviti a mascherare operazioni di riciclaggio di denaro sporco. Con i primi verdetti del tribunale del Riesame inizia a mostrare i primi scricchiolii la maxi-inchiesta che a inizio mese ha portato dietro le sbarre oltre venti esponenti della temibile cosca con base tra San Giovanni a Teduccio, Poggioreale e piazza Mercato. Ieri pomeriggio si sono infatti riaperte le porte del carcere per Salvatore D’Amico, 24enne figlio del ras Gennaro D’Amico, tornato a piede libero dopo la decisione del Riesame. I giudici delle Libertà hanno dato pieno accoglimento alle argomentazioni sostenute dal difensore di D’Amico junior, l’avvocato Sergio Lino Morra, il quale ha prodotto una corposa documentazione che attesterebbe il carattere assolutamente legale dell’attività imprenditoriale portata avanti dall’indagato. Preso atto dell’incertezza del quadro indiziario, il tribunale del Riesame ha dunque annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico del 24enne, scagionandolo di fatto dall’accusa di riciclaggio e disponendone l’immediata scarcerazione. Annullamento parziale invece per l’altro giovane indagato, il 26enne Umberto D’Amico, figlio del ras Salvatore D’Amico “’o pirata”, per il quale è stata cancellata l’accusa di estorsione, ma è rimasta in piedi quella di riciclaggio. Quanto al “pirata”, il Riesame ha invece sposato la linea della Procura, confermando per lui in toto il provvedimento cautelare. Nei prossimi giorni il tribunale delle Libertà si pronuncerà in merito alle altre posizioni. Secondo gli inquirenti che hanno condotto l’inchiesta, era riconducibile a Salvatore D’Amico, 24 anni, figlio di Gennaro, capo storico dell’omonimo clan alleato con la famiglia Mazzarella, la società Red Fuel costituita nel gennaio del 2018 con un capitale sociale di 10mila euro. Secondo quanto emerge dalle indagini, per l’operazione venne utilizzato un conto corrente definito dormiente, acceso il 7 ottobre 2016, da Salvatore D’Amico, con un versamento di quasi 71mila euro. Un conto corrente raramente movimentato nel corso dei successivi due anni. La Red Fuel ha poi acquisito in comodato, la settimana dopo la sua costituzione, il 16 gennaio 2018, la gestione dell’impianto di via Cintia, nel quartiere Fuorigrotta, sottoposto a inizio mese a sequestro. A rivelare la vicenda agli inquirenti era stato Umberto D’Amico “’o lione”, diventato collaboratore di giustizia nel 2019, che fa luce anche sui sistemi di riciclaggio del clan che si avvalgono di fatture false emesse attraverso imprenditori compiacenti e, anche, investendo nel settore della commercializzazione dei carburanti. La retata aveva portato all’esecuzione di ventiquattro arresti, tra i quali spiccavano, oltre a quelli dei capi del gruppo D’Amico “Gennarella” del rione Villa, quello del ras Ciro Mazzarella, capozona dei vicoli del Mercato
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