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Tegola sul boss scissionista, Renato Tortora torna in cella

Tegola sul boss scissionista, Renato Tortora torna in cella

NAPOLI. Sulla sua testa pendeva una spada di Damocle con la quale sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti. Renato Tortora, boss scissionista del clan Moccia, probabilmente non immaginava però che quel momento sarebbe arrivato così presto. Scarcerato a novembre scorso per gravi problemi di salute, il 48enne noto a Malanapoli come “’o curt”, da ieri si trova nuovamente dietro le sbarre per scontare la condanna a dodici anni di reclusione che pochi giorni fa è diventata definitiva dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione. I giudici di piazza Cavour hanno infatti ritenuto inammissibile il suo ricorso. Tortora è stato così raggiunto nella comunità terapeutica alla quale era stato assegnato e, dopo le formalità burocratiche di routine, trasferito nuovamente in carcere. Quello di Renato Tortora negli ultimi anni è diventato uno volto assai noto delle pagine di cronaca nera e giudiziaria. A suon di bombe aveva dichiarato guerra ai massimi vertici del clan Moccia e nel giro di poco tempo era riuscito a mettere in piedi una cosca tutta sua e in grado di tenere sotto scacco la zona di Casoria e non solo. Una micidiale scalata che Renato Tortora “’o curt” ha però pagato prima con le manette e poi con una condanna in appello a dodici anni: pena comunque oggetto di una forte riduzione rispetto al giudizio di primo grado, quando di anni di carcere ne aveva incassati ben diciotto. La permanenza dell’emergente boss dietro le sbarre era però durata molto meno del previsto. Affetto da una seria forma di schizofrenia, il 48enne capozona di Casoria a novembre aveva ottenuto a sorpresa gli arresti domiciliari in una comunità per pazienti psichiatrici. Renato Tortora aveva così lasciato il penitenziario di Ascoli Piceno, per continuare a scontare la pena in una struttura di cura del Casertano. Determinante ai fini della decisione della Corte d’appello di Napoli era stata la doppia istanza presentata dai difensori di “’o curt”, gli avvocati Sergio Lino Morra e Dario Carmine Procentese. In un primo momento il consulente del tribunale aveva demandato al Dap l’individuazione di una struttura carceraria adeguata al trattamento della patologia del boss: la ricerca si è però conclusa in un nulla di fatto. La svolta era poi arrivata con la seconda istanza, in seguito alla quale è stato il consulente stesso a indicare la comunità che avrebbe potuto ospitare e curare Tortora. C’era però una circostanza piuttosto singolare, evidentemente ritenuta in quel frangente non rilevate dal tribunale: alcuni mesi fa il collaboratore di giustizia Lucio Caputo, estorsore e fedelissimo di Tortora,

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