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Omicidio Giannino, l’alibi di Vincenzo Di Lauro: ero in carcere

Omicidio Giannino, l’alibi di Vincenzo Di Lauro: ero in carcere

Colpo di scena davanti al gip, il ras “F2” si difende: «Detenuto da tre mesi». Otto delitti per la seconda faida di Scampia, gli altri “big” fanno scena muta

NAPOLI. Sulla sua testa pende da martedì scorso la pesantissima accusa di essere uno dei due istigatori dell’omicidio di Luigi Giannino, alias “Cutoletta”, trucidato nel pieno della seconda faida di Scampia e Secondigliano in quanto sospettato dal suo stesso clan, quello dei Di Lauro, di essersi “girato” con i rivali Amato-Pagano. Vincenzo Di Lauro, secondogenito dello storico boss “Ciruzzo ’o milionario”, ieri mattina ha a sorpresa deciso di rispondere alle domande del gip e ha respinto con fermezza ogni addebito.

Il 47enne ras di cupa dell’Arco avrebbe infatti un alibi di ferro. La circostanza è emersa nel corso dell’interrogatorio di garanzia al quale Vincenzo Di Lauro, difeso dall’avvocato Antonio Abet, è stato sottoposto in seguito al maxiblitz che a inizio settimana ha portato nuovamente dietro le sbarre sedici esponenti di punta dei clan Di Lauro, Amato-Pagano e Vanella Grassi, a vario titolo accusati di essere i responsabili di ben otto omicidi. Vincenzo “F2” ha però sostenuto di non avere nulla a che fare con la morte di violenta di “Cutoletta”. Luigi Giannino fu ammazzato in largo Macello il 13 giugno 2007 e all’epoca Di Lauro junior si trovava detenuto per associazione mafiosa già da tre mesi.

Il pentito Carlo Capasso lo ha però tirato in ballo indicandolo come uno dei due mandanti del delitto: l’altro sarebbe stato il fratello Marco Di Lauro. Di certo c’è che l’omicidio di Giannino sarebbe è maturato in seguito a quello di Giuseppe Pica, affiliato della prima ora al clan Di Lauro e fedelissimo dei vertici della cosca. Pica fu ucciso il 14 marzo 2007 e da quel momento partì un’incessante caccia all’uomo. Persino i Lo Russo si interessarono della faccenda, incontrando Domenico Pagano.

La questione non venne però risolta, tanto che il clan di cupa dell’Arco decise di passare all’azione. Per venti giorni un commando di sicari si apposta al rione Berlingieri, non riuscendo però a stanare Giannino. Il 27 marzo di quell’anno Vincenzo Di Lauro finisce intanto in carcere con l’accusa di camorra. Secondo il collaboratore di giustizia Capasso, invece, “F2” avrebbe continuato a lavorare al delitto affidando una serie di “imbasciate” al cognato, che avrebbe quindi fatto da tramite con i killer.

Davanti al gip, oltre a ribadire di essere stato all’epoca già detenuto, Vincenzo Di Lauro ha però sostenuto di non avere alcun ricordo di quegli incontri, ricordando che gli affiliati al clan erano già tutti da tempo sotto intercettazioni: conversazioni che sono agli atti dell’inchiesta.

Fino ad ora a spuntarla è stata la ricostruzione della Procura, ma stando così le cose non è da escludere un ribaltamento del quadro indiziario già nelle prossime settimane e la difesa di Di Lauro, rappresentata dall’avvocato Abet, è pronta a riaprire la partita in sede di Riesame. Interrogati anche gli altri “big” coinvolti nell’inchiesta: Raffaele Amato, Cesare Pagano, Renato Napoleone (difesi dall’avvocato Domenico Dello Iacono), Rito Calzone, Carmine Pagano e Davide Francescone (difesi da Luigi Senese). Tutti hanno fatto scena muta.

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