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07 Aprile 2023 - 07:45
NAPOLI. È bastata un’accurata perquisizione alla sua cella per far saltare fuori alcuni microcellulari. Dispositivi grazie ai quali, almeno secondo la ricostruzione della Procura, avrebbe continuato a tenere i contatti con gli affiliati e a impartire ordini ai suoi “colonnelli”. Salvatore Fido, noto a Malanapoli come “’o chiò”, nonostante la lunga detenzione sembra non aver affatto rimesso la testa a posto, ma per il 36enne boss del clan Mazzarella il giro di vite non si è fatto attendere. Ricevuta la notizia di reato e preso atto della sua persistente pericolosità sociale, il ministero della Giustizia ha infatti deciso di spedirlo al regime del carcere duro. Il ras di San Giovanni a Teduccio si trovava ristretto nel carcere romano di Rebibbia ed è proprio qui che pochi giorni fa è scattata l’inattesa perquisizione. Gli agenti penitenziari hanno setacciato ogni centimetro della sua cella e in breve tempo hanno scoperto alcuni telefonini, tutti dotati di scheda Sim e quindi perfettamente utilizzabili, nella disponibilità di “’o chiò”. I dispositivi sono stati ovviamente subito sottoposti a sequestro e dell’accaduto è stata informata l’autorità giudiziaria, che ha fatto quindi partire gli accertamenti del caso. Le indagini sono ancora in corso e gli inquirenti ipotizzano che Salvatore Fido, grazie a quei microtelefoni, abbia continuato a tenere i contatti con i “mazzarelliani” attualmente a piede libero, mantenendo così ben salde le redini della potente cosca di Napoli Est. A fronte di un quadro indiziario a dir poco allarmante, il ministero della Giustizia ha deciso di non perdere tempo, firmando, già a inizio settimana, il decreto con cui è stato disposto il trasferimento di Fido al regime del 41-bis, sempre nel carcere di Rebibbia. Per il ras di San Giovanni a Teduccio si profila dunque un lungo periodo - due anni nel migliore dei casi - di severe restrizioni: isolamento nei confronti degli altri detenuti, colloqui coi familiari una sola volta al mese e stretto regime di sorveglianza personale. Salvatore Fido attualmente sta scontando una condanna definitiva per associazione mafiosa, ma il suo nome negli ultimi anni ha fatto capolino in numerose inchieste giudiziarie, alcune anche per gravi fatti di sangue, come l’omicidio di Vincenzo Di Pede, delitto per il quale, dopo il verdetto favorevole della Cassazione, Fido è rimasto indagato soltanto a piede libero. L’agguato del 25 agosto 2012 segnò la rottura definitiva con i Formicola, da quel momento passati con i Rinaldi-Reale formando un asse ancora più pericoloso. Sono stati i poliziotti della Squadra mobile a lavorare intensamente alla soluzione del caso con il coordinamento della procura antimafia. Investigatori e inquirenti raccolsero le dichiarazioni di Umberto D’Amico, ex boss dei “Gennarella”, raffrontandole con gli elementi emersi nei primi accertamenti. Per l’omicidio Di Pede, legato ai Formicola pur non essendo un affiliato, furono arrestati cinque mesi dopo Rosario Guadagnolo come presunto esecutore e Raffaele Russo, che guidava lo scooter.
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