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Cinema e camorra, affondo della Procura

Cinema e camorra, affondo della Procura

I soldi delle cosche di Napoli Est investiti nel grande schermo, chiesti quasi 50 anni di carcere

NAPOLI. Intreccio tra grande schermo e camorra, sponda clan D’Amico-Mazzarella, la Procura di Roma lancia l’affondo e invoca quasi cinquant’anni di carcere per i sei imputati che hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato. La pena più alta è stata quella richiesta per il noto produttore cinematografico Daniele Muscariello, per il quale il pubblico ministero ha invocato 10 anni di reclusione. Di assoluta consistenza anche le condanne richieste per gli altri imputati: Luigi Varlese, 8 anni; Salvatore Varlese (nella foto a destra), 8 anni; Giovanni Sanges (nella foto a sinistra), 8 anni; Gennaro Gaglione, 6 anni e 6 mesi; Michele Olivieri, 6 anni. Conclusa la requisitoria del pubblico ministero innanzi al gip di Roma, il processo riprenderà a maggio con le discussioni del collegio difensivo. La sentenza è invece attesa per la fine dell’estate. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Muscariello avrebbe agito per il tramite di Luigi e Salvatore Varlese e di Giovanni Sanges, che operavano per conto dei clan di San Giovanni a Teduccio e per i quali è stata chiesta una condanna a 8 anni. Chiesti sei anni e mezzo invece per Olivieri, il poliziotto che è stato individuato come colui che avrebbe materialmente trasportato i soldi da Napoli a Roma: in tutto 1 milione e 250 mila euro. Per i pm Muscariello non avrebbe avuto un mero ruolo tecnico di investitore di soldi di provenienza illecita, ma avrebbe anche compartecipato ad alcune strategie criminali. In particolare avrebbe avuto stretti rapporti con il boss della mafia albanese Elvis Demce, con il quale non nascondeva la sua amicizia posando insieme sui social. Proprio a Demce avrebbe chiesto di risolvere un problema dei clan: punire un imprenditore di Velletri, reo di aver ottenuto un appalto grazie alla camorra per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo, non tenendo fede ai patti. Nel marzo dello scorso anno l’inchiesta portò all’esecuzione di nove arresti.

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