Tutte le novità
11 Aprile 2023 - 09:09
Magnetti e Grazioso si crearono un finto alibi per l’omicidio Giovanni Candone
NAPOLI. È l’ultima strategia dei killer di camorra emersa grazie alle dichiarazioni dei pentiti: recarsi subito sui luoghi del delitto per crearsi un alibi. Lo ha spiegato ai pm antimafia Rosario Guarino detto “Joe banana”, uno dei due capi della Vanella Grassi che clamorosamente e improvvisamente ha scelto di passare dalla parte dello Stato. E lo ha fatto a proposito dell’ultimo cold case risolto dai carabinieri: l’omicidio di Giovanni Candone, ucciso nel 2011 per volere (secondo l’accusa e ferma restando la presunzione d’innocenza per gli indagati) di Arcangelo Abete.
A compiere l’agguato sarebbero stati Fabio Magnetti, presunto esecutore materiale, e Alessandro Grazioso che guidava la moto con cui i due affiliati al clan raggiunsero la vittima al bar in cui si trovava. Tutti e tre lo scorso 5 aprile hanno ricevuto in carcere (dov’erano già detenuti) il nuovo provvedimento restrittivo.
«Quando qualcuno compie un omicidio normalmente scompare dalla circolazione», ha messo a verbale Rosario Guarino. «Facendosi vedere subito sulla scena del crimine, Alessandro Grazioso si era creato un alibi. Anche Fabio Magnetti si fece immediatamente vedere in giro. Addirittura scherzava con Giuseppe Magnetti, che non sapeva nulla, chiedendogli: chi è stato?». L’ex ras della “Vinella”, che in quanto capo in quel periodo di uno dei 5 clan dell’alleanza ”Le famiglie di Secondigliano” fu subito informato, ha ricostruito così l’agguato. «Fabio Magnetti e Alessandro Grazioso videro Giovanni Candone nel bar che abitualmente frequenta. Così, andarono nel locale che era stato loro messo a disposizione: si spogliarono, si misero le tute, i giubbini e i caschi. Salirono armati in sella alla Transalp, uscirono dal Berlingieri, imboccarono via del Cassano e fecero tutta in controsenso la traversa che conduce al corso Italia. Fuori al bar Ariston Fabio scese dalla moto mentre Alessandro la girò. Magnetti entrò e sparò a Candone, risalì sulla motocicletta e ed entrambi tornarono al Berlingieri».
Giovanni Candone nel pieno della prima faida di Scampia aveva avuto un dissidio con i capi del clan Abete. A distanza di anni, ben sette, aveva chiesto di entrare a far parte della confederazione delle Cinque Famiglie di Secondigliano senza immaginare che il ras Arcangelo Abete non aveva mai archiviato la questione e che, anzi, era pronto a fargliela pagare da un momento all’altro. Quello che ne scaturì fu un delitto brutale, messo a segno in pieno giorno all’interno di un bar. La svolta sul caso è arrivata soprattutto grazie alle dichiarazioni del killer Fabio Magnetti che, pur non essendosi mai pentito, ha ricostruito la vicenda e accusato i presunti complici. La vittima, che al momento dell’agguato si trovava nel bar del cognato in via Fosso del Lupo, a Secondigliano, capì subito che si trattava di una trappola e tentò una breve e inutile fuga perché venne raggiunta e uccisa dal killer.
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo