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Camorra, ancora fuori il ras delle bombe

Camorra, ancora fuori il ras delle bombe

NAPOLI. La detenzione del boss Renato Tortora somiglia sempre più a un singolare ping pong giudiziario. Nel giro di una manciata di mesi, poco più di cinque, il ras scissionista del clan Moccia si è infatti ritrovato a essere arrestato, scarcerato e poi di nuovo arrestato quando a fine marzo la sua condanna è diventata definitiva. Questione chiusa, quindi? Neanche per sogno. Il ras noto a malanapoli con l’alias di “’o curt” ieri mattina è stato infatti nuovamente “salvato” dal tribunale di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, che accogliendo l’articolata istanza del suo difensore, l’avvocato Sergio Lino Morra, gli ha concesso nuovamente gli arresti domiciliari per gravi problemi di salute. Già ieri il 48enne Tortora ha così potuto lasciare l’istituto sammaritano per ricevere le cure rese necessarie dal suo quadro clinico. Quello di Renato Tortora negli ultimi anni è diventato uno dei volti più noti delle pagine di cronaca nera e giudiziaria locale. A suon di bombe “’o curt” aveva dichiarato guerra ai massimi vertici del clan Moccia e nel giro di poco tempo era riuscito a mettere in piedi una cosca tutta sua e in grado di tenere sotto scacco la zona di Casoria e non solo. Una micidiale scalata che Renato Tortora ha però pagato prima con le manette e poi con una condanna in appello a dodici anni: pena comunque oggetto di una forte riduzione rispetto al giudizio di primo grado, quando di anni di carcere ne aveva incassati ben diciotto. La permanenza dell’emergente boss dietro le sbarre era però durata molto meno del previsto. Affetto da una seria forma di schizofrenia, il 48enne capozona di Casoria a novembre aveva ottenuto a sorpresa gli arresti domiciliari in una comunità per pazienti psichiatrici. Renato Tortora aveva così lasciato il penitenziario di Ascoli Piceno, per continuare a scontare la pena in una struttura di cura del Casertano. Determinante ai fini della decisione della Corte d’appello di Napoli era stata la doppia istanza presentata dai difensori. In un primo momento il consulente del tribunale aveva demandato al Dap l’individuazione di una struttura carceraria adeguata al trattamento della patologia del boss: la ricerca si è però conclusa in un nulla di fatto. La svolta era poi arrivata con la seconda istanza, in seguito alla quale è stato il consulente stesso a indicare la comunità che avrebbe potuto ospitare e curare Tortora. C’era però una circostanza piuttosto singolare, evidentemente ritenuta in quel frangente non rilevate dal tribunale: alcuni mesi fa il collaboratore di giustizia Lucio Caputo, estorsore e fedelissimo di Tortora, aveva rivelato agli inquirenti che il ras nel corso di un incontro gli aveva rivelato che avrebbe fatto di tutto per rimanere in galera il meno possibile , anche fingersi pazzo. Caputo non è stato l’unico pentito a parlare di Renato Tortora. In tempi recenti ci aveva già pensato Luigi Migliozzi, che ha descritto la scissione di cui “’o curt” si è reso protagonista nel 2015. Una vicenda per la quale il ras è stato condannato a scontare una pena piuttosto consistente. Pena alla quale potrà però adesso andare incontro dai ben più confortevoli arresti domiciliari.

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