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Ammazzato e sciolto nell’acido, arrestati tre ras del clan Licciardi

Ammazzato e sciolto nell’acido, arrestati tre ras del clan Licciardi

Svolta dopo dieci anni sul delitto “Totoriello”: punito per una relazione proibita. Scambio di killer tra la Masseria e i Polverino: «Era una questione di tradimento»

NAPOLI. Aveva osato intrattenere una relazione amorosa con la moglie di un affiliato ai Licciardi in quel periodo detenuto. Così, pur sapendo di rischiare ben conoscendo le regole d’onore della camorra, Salvatore Esposito andò incontro alla morte. Ma la punizione fu ancora più terribile: alcuni componenti dei Polverino, alleati del clan della Masseria Cardone di Secondigliano, completarono l’opera degli esecutori materiali del delitto sciogliendo il cadavere nell’acido: una tecnica appresa da Cosa Nostra grazie al legame con Totò Riina. Circostanza da brividi: al momento dell’omicidio il legame extraconiugale era finito da tre mesi perché la donna aveva lasciato il 38enne per un altro uomo.

Eppure la vendetta arrivò lo stesso. Fu lo stesso “Totoriello” a farlo sapere al clan inviando una lettera anonima al marito tradito in carcere. Dell’omicidio di Salvatore Esposito, autista e uomo di fiducia della cosca scomparso il 27 settembre 2013, devono rispondere e sono stati arrestati all’alba di ieri Paolo Abbatiello di 57 anni, Raffaele Prota, stessa età, e Gianfranco Leva, 62enne, tutti esponenti di vertice dei Licciardi. Avrebbero avuto il ruolo di mandanti nonché di partecipi alla fase esecutiva insieme a Giuseppe Simioli mentre gli altri indagati avrebbero partecipato alle azioni materiali: Salvatore Ruggiero, Felice Moraca, Carlo Nappi, Crescenzo Polverino, Giuseppe Ruggiero e Alessandro De Luca.

Tutti da ritenere innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. L’accordo che avrebbe ucciso “Totoriello” chi si fosse trovato più vicino a lui e nella ricostruzione degli inquirenti, fu Carlo Nappi a sparare. Il gruppo poi distrusse il cadavere, sciogliendolo nell’acido e bruciandolo con un bollitore nelle campagne dei Camaldoli. La vittima lavorava, per circa 1.500 euro, soprattutto per un giovane esponente del clan, per il quale era a disposizione giorno e notte. Lui non era contento e in un’intercettazione si lamentava: «ma questo non dorme mai...». Le indagini, coordinate dalla Dda, sono state condotte dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Napoli. L’input decisivo è arrivato dal pentimento di Giuseppe Simioli, le cui dichiarazioni hanno fornito formidabili riscontri alle intercettazioni ambientali partite in contemporanea tra Maria Licciardi (estranea all’inchiesta) e Gianfranco Leva.

Ecco cosa ha raccontato il collaboratore di giustizia: «Mi chiesero di fare l’omicidio velocemente. Mi dissero che la famiglia Licciardi ne era a conoscenza, ma che non poteva agire direttamente nel timore di attirare l’attenzione della polizia. Era una questione di tradimento». La trappola scattò nel pomeriggio del 27 settembre 2013. Paolo Abbatiello, Gianfranco Leva e Raffaele comunicarono a Salvatore Esposito che avrebbero dovuto recarsi tra Chiaiano e Marano per incontrare l’allora latitante Antonio Teghemie , marito di Maria Licciardi, che si nascondeva da quelle parti. “Totoriello” non sospettò nulla, seguendo in macchina i suoi carnefici da Secondigliano a Marano.

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