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Famiglia Pellini: i bluff della super-ricchezza e delle industrie inquinanti

Famiglia Pellini: i bluff della super-ricchezza e delle industrie inquinanti

ACERRA. Il tesoro dei Pellini: un bluff. Il valore reale dei beni immobili finiti sotto chiave è appena del 10% di quello che da anni viene proclamato. Tra i beni “congelati” figura anche un bar di Marigliano appartenente certamente ad un soggetto che nulla ha a che vedere con la famiglia di Acerra. Insomma un mero errore di trascrizione della partita Iva, che ha fatto rientrare, nel corso degli accertamenti, l’attività nella disponibilità dei Pellini. Per chiudere il cerchio attorno al fantomatico “tesoro” (a cui tanti ambiscono sperando di poterne avere una fetta), ci sono i beni immobili ricevuti in dote prima del matrimonio delle mogli dei tre Pellini, i loro risparmi (frutto di uno stipendio tracciabile) e finanche un prestito erogato da un ente pubblico ad un ultra 70enne della famiglia, che con quei soldi voleva rifarsi l’impianto dentario. Approfittando di tanta confusione, nei giorni scorsi, dando fiato alle classiche trombe della disinformazione, le solite “fonti” sono tornate a fare il punto sul patrimonio immobiliare, contando oltre 144 tra appartamenti e ville disseminati nell’intera penisola, auto di lusso, due elicotteri, pasticcerie, distributori, terreni e quattro aziende di smaltimento rifiuti. Un impero che - secondo le loro stime - varrebbe 222 milioni di euro, una fortuna che ora sta stuzzicando certamente interesse anche il sistema di malaffare operativo sul territorio, pronto certamente, in caso di dissequestro, a richiedere il “pizzo”. Ciò già successo nel 1991, quando i Pellini - nascenti imprenditori edili acerrani - contribuirono, insieme ad altri a mandare in carcere, con l’accusa di estorsione, la gang criminale gravitante nell’orbita dei Mariniello meglio noti con il soprannome dei “Cammurristiell”. Ma torniamo alla vicenda Pellini, che a distanza di quasi un ventennio dall’avvio, è ancora carica di ombre che non state certamente diradate dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli (che porta la firma del presidente Eugenio Giacobini), che in un preciso passaggio sul disastro ambientale scrive: “... Invero, è pacifico e va ribadito anche in questa sede che nel processo in esame, nonostante la durata e l’ampiezza delle indagini, non venivano espletate le opportune analisi del terreno e delle falde acquifere per accertare l’effettività della contaminazione. Tali analisi avrebbero richiesto - scrive la Corte nella sentenza - secondo quanto riferito dallo stesso consulente della pubblica accusa, almeno cinque sondaggi per un’area di diecimila metri quadrati con notevoli costi». Leggendo e rileggendo questa sentenza, poi confermata dalla Cassazione, vi è necessità di chiedersi ancora una volta (sperando in una risposta chiara, esaustiva ed univoca): il territorio acerrano è inquinato (nella foto la discarica Calabricito)? Ci sono le prove scientifiche di questo pseudo disastro ambientale che tutti proclamano? Se è così, allora, è il caso di mettere sotto processo con l’accusa di concorso in omicidio plurimo, chi e quanti non hanno fatto niente per fermare un disastro che in tanti affermano di vedere, ma che nessuno certifica.

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