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Tsunami sulla Vanella Grassi, il ras di “Gomorra” contro tutti

Tsunami sulla Vanella Grassi, il ras di “Gomorra” contro tutti

Il killer Fabio Magnetti ricostruisce nove delitti in un lungo manoscritto

NAPOLI. Dopo oltre dieci anni trascorsi in carcere, gran parte dei quali sepolto al 41-bis, Fabio Magnetti ha deciso di dare uno strappo ai suoi trascorsi da camorrista di rango. Troppo grande il peso che si portava dentro: la rabbia per l’omicidio del fratello Luigi, gli inganni familiari che l’hanno spinto ad abbandonare la vita da bravo ragazzo e a cercare vendetta e soprattutto la lunga scia di sangue di cui si è reso protagonista nel corso della prima faida di Scampia. Fabio Magnetti, killer e boss del clan della Vanella Grassi, dopo anni di imperscrutabili silenzi, ha impugnato carta e penna, consegnando al giudice di Sorveglianza del tribunale dell’Aquila un manoscritto di ben 70 pagine. Un documento inedito e dai contenuti dirompenti, degno della miglior sceneggiatura di “Gomorra”, dal quale saltano fuori ben nove delitti, di cui tre ancora oggi irrisolti: gravissimi fatti di sangue che Magnetti non si è limitato a confessare. Il ras di Secondigliano ha infatti rivolto una lunga e pesantissima serie di accuse anche ai suoi complici e parenti: su tutti lo zio Salvatore Petriccione e il cugino Rosario Guarino.

IL PASSO INDIETRO. La lettera scritta da Magnetti porta la data del 12 aprile scorso, giorno in cui è stata recapitata al magistrato di Sorveglianza: «Ho deciso - scrive subito il boss - di affidare alla sua risaputa magnanimità e senso di giustizia questo mio scritto, risultato di un lungo percorso di ravvedimento interiore, intrapreso e maturato durante la mia carcerazione. Grazie al supporto ricevuto dall’educatrice del carcere di L’Aquila sono riuscito a ripercorrere con analisi critica tutto il mio passato criminale, comprendendo gli enormi sbagli commessi e soprattutto l’immenso dolore arrecato alle famiglie di tutte le povere vittime che per mia mano hanno purtroppo trovato la morte... Nessuna scusante può essere trovata per chi come me non ha avuto alcun rispetto per la vita umana altrui... In ragione di tanto non posso che chiedere perdono dal profondo del mio cuore a tutte le famiglie delle vittime ma anche alle vittime stesse». Dopo aver messo nero su bianco il proprio dispiacere - Magnetti non parla però mai di formale pentimento - ecco dunque che la lettera entra rapidamente nei passaggi chiave.

L’INFANZIA BRUCIATA. Nel secondo paragrafo Magnetti ripercorre la propria adolescenza e in particolare il passaggio che l’ha portato a diventare uno dei killer più spietati della faida di Scampia: «Sono nato e cresciuto a Napoli, precisamente a Secondigliano, uno dei più disagiati quartieri partenopei... Stiamo parlando di un luogo che rappresenta la massima espressione di un sistema regolato dalla legge del più forte... La sopraffazione sui più deboli diviene l’unico linguaggio conosciuto dai giovani di Secondigliano, tanto da crescere con l’idea che questo modo di vivere sia la regola e che pertanto sparare e decidere sulla vita degli altri costituisce elemento di forza e di onore. Sino all’età di 18 anni sono stato estraneo a queste logiche e meccanismi di sopraffazione, circondato dall’amore di mia madre e dei miei fratelli... A 16 anni ho trovato impiego presso una ditta che distribuiva latte nei veri esercizi commerciali di Secondigliano e delle zone limitrofe. Ero felice e sereno della vita che conducevo». Una tranquillità che ben preso si sarebbe però tramutata in un inferno senza via di uscita. Il 25 settembre 2007, nel pieno della faida tra i Di Lauro e gli Amato-Pagano, Luigi Magnetti, killer della Vinella e fratello di Fabio, viene ucciso in un agguato di camorra: è l’inizio di un’irreversibile discesa nel baratro. «Questa notizia - scrive il ras - ha sconvolto completamente la mia intera esistenza, portando dolore e disperazione in tutta la mia famiglia. Mio fratello era il mio tutto e con la sua morte la mia anima è volata via». Figlio di Antonio, “dilauriano” della prima ora poi cacciato dalla cosca di cupa dell’Arco, dopo il delitto del fratello anche Fabio intraprende quindi la “carriera” criminale.

IL GRANDE INGANNO. «Alcuni componenti della mia famiglia - rivela oggi Magnetti - facendo leva sul mio precario stato d’animo, mi hanno fomentato e indotto a compiere omicidi apparentemente in nome del mio compianto germano... Solo in carcere ho compreso che per tanto tempo sono stato il burattino nelle mani di persone verso le quali nutrivo profonda fiducia e che invece mi hanno usato solo per i loro più biechi interessi. In particolare mi riferisco a mio cugino Rosario Guarino, oggi collaboratore di giustizia, il quale per anni mi ha fatto credere che mio fratello era stato ucciso per mano degli Amato-Pagano, nascondendomi la verità, ossia che egli non aveva mai provato a impedire la morte di mio fratello, anzi aveva dato il benestare alla sua uccisione». Magnetti ha quindi indicato il momento esatto della sua “conversione” in malavitoso: «Due settimane dopo la morte di mio fratello, venivo convocato da mio zio Salvatore Petriccione e mio cugino Rosario Guarino, i quali mi riferivano che la sua morte era stata voluta dal clan Amato-Pagano poiché, per ragioni di gelosia non meglio spiegatemi, tale Giuseppe Tarantello aveva riferito loro che mio fratello avrebbe voluto uccidere Raffaele Amato». Magnetti lascia quindi il lavoro, scompare per qualche tempo e al suo rientro a Secondigliano inizia a spacciare droga «che compravo dalla mia famiglia e rivendevo a numerosi soggetti privati non legati alla criminalità organizzata... In particolare vendevo droga comprata dagli Amato-Pagano solo per agevolare le finanze della mia famiglia e tolleravo i legami di Guarino con gli stessi solo perché mi veniva ripetuto che al più presto mio fratello sarebbe stato vendicato». Una bugia che si rivelerà fatale per le sue sorti.

LA SCIA DI SANGUE. Le pagine successive del manoscritto sono dedicata alla minuziosa ricostruzione-confessione di ben nove omicidi: quelli di Vittorio Iodice, Carmine Fusco, Pasquale Malavita, Antonio Faiello, Giuseppe Parisi e Giuseppe Ferraro, Giovanni Cantone, Raffaele Stanchi e Luigi Montò. Per i delitti Iodice, Fusco e Cantone Magnetti non ha mai ricevuto alcun provvedimento cautelare. La ricostruzione di quella escalation di orrori parte dunque dall’omicidio di Vittorio Iodice, ucciso il 25 gennaio 2008: «La morte della povera vittima è stata decisa a tavolino da Biagio Esposito, oggi collaboratore di giustizia, insieme agli esponenti del clan Amato-Pagano per vendicare il disonore subito dal figlio del primo, schiaffeggiato da Antonio Di Lauro. Non potendo colpire direttamente quest’ultimo, figlio del boss, la cosca decise che doveva essere sacrificata la vita di una persona vicina ad Antonio Di Lauro... Biagio Esposito commissionava a Pasquale Malavita e Rosario Guarino l’uccisione della povera vittima... Guarino ingaggiò a sua volta Gaetano Petriccione, mio cugino, e Luca Raiano, figlio della sorella di mio padre, incaricandoli di procedere all’uccisione dell’innocente Iodice... Seppur in posizione defilata, io e Alessandro Grazioso eravamo presenti al momento dell’omicidio e seguivamo gli esecutori materiali da lontano su un motorino Sh 300 guidato da Grazioso, mentre io ero dietro armato di una pistola 9x21 pronta all’uso in caso di necessità... Ancora mi tormento nel domandarmi il perché non abbia fatto nulla per impedire che tutto ciò accadesse e l’unica amara spiegazione che mi sono dato è che ero ancora scosso per la recente perdita di mio fratello».

Segue sul “Roma” di domani

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