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Rapimento Pettirosso, l’inchiesta è in bilico

Rapimento Pettirosso, l’inchiesta è in bilico

NAPOLI. Un super testimone rischia di ribaltare l’inchiesta sul rapimento di Stefano Pettirosso, l’operaio vittima di un sequestro di persona avvenuto a Chiaiano la sera del 13 febbraio 2020, al quale avrebbero preso parte tutti i principali clan attivi nella periferia nord della città, dagli AmatoPagano agli Stabile, passando per la Vanella Grassi e i Raia. Il processo che si sta celebrando davanti ai giudici della Seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli è entrato nel vivo con l’udienza celebrata ieri mattina. In aula è stato esaminato, su richiesta dell’avvocato Gandolfo Geraci, difensore del ras dei Cifrone Stefano Di Faia (nella foto a sinistra), un amico della vittima, nonché testimone oculare delle fasi iniziali del raid. Il teste ha sostenuto che quel giorno si trovava in compagnia di Stefano Pettirosso. I due, in particolare, erano in sella a uno scooter, quando sono stati avvicinati da Gennaro Caldore, alias “Cioccolata”, il quale li avrebbe costretti a seguirli fino alla villetta di Chiaiano. A quel punto il teste, che era alla guida del motorino e che ha sostenuto di ignorare il motivo di quell’ordine, si sarebbe allontanato, sempre su input del commando. In precedenza Pettirosso aveva invece sostenuto di essersi trovato da solo e all’interno della propria auto quando è iniziato il suo rapimento. Insomma, dai due racconti emergerebbero circostanze e protagonisti. Il testimone escusso ieri non ha infatti riconosciuto nessuno dei cinque imputati, tutti reduci dal dibattimento. Tra l’altro, proprio di recente, il neo pentito Salvatore Roselli, alias “Frizione”, aveva escluso il loro coinvolgimento nella vicenda, indicando invece gli imputati reduci dal rito abbreviato e altre due persone non ancora identificate. I giudici di primo grado erano stati però di tutt’altro avviso. Nel marzo dello scorso anno Stefano Di Fraia era stato infatti condannato a 30 anni di reclusione, mentre Giuseppe Calemma e Pietro Gemito (entrambi difesi dall’avvocato Dario Carmine Procentese), Gennaro Rianna (difeso dall’avvocato Michele Di Fraia) e Ciro Montagna (difeso dagli avvocati Andrea Taglioni e Luigi Monaco) se l’erano cavata con 20 anni di carcere a testa. Il sequestro Pettirosso durò appena tre ore e consentì ai clan coinvolti nella vicenda di intascare 40.000 euro a titolo di riscatto. La vittima, presa di mira probabilmente per la disponibilità di denaro della famiglia, nel rincasare in auto dopo il lavoro, sarebbe stata prima accerchiata da circa dieci uomini a bordo di cinque scooter, successivamente prelevata con la forza sotto la minaccia di armi e infine legata e segregata per numerose ore in un garage di Scampia, fino al pagamento del riscatto. Dopo l’udienza di ieri il caso potrebbe essere però riaperto.

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