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23 Giugno 2023 - 10:45
NAPOLI. Da icone di morte a simboli di speranza. Un messaggio di denuncia che però è anche abbellimento, l’intenzione di riportare dignità laddove oramai campeggiano solo indifferenza e abbandono. Quelli che una volta erano duecento maestosi e floridi pini di via Virgilio e via Boccaccio, e che oggi sono ceppi spogli e in decomposizione, sono stati trasformati in totem dal maestro d’arte civica Ruben D’Agostino attraverso l’installazione, su ognuno di questi, di strisce di carta colorate pregne di significato. La forma di denuncia si pone in continuità con una precedente opera: l’artista, nel novembre del precedente anno, appose sui ceppi delle croci bianche che diedero ai tronchi brutalizzati l’aspetto di caduti in battaglia e che tramutarono i viali non più alberati in veri e propri cimiteri militari. Questa volta, invece, le strisce di carta lunghe un metro sono di colore giallo, azzurro, verde o rosa e recano tutte un messaggio che si concreta in emblemi di culture e religioni aventi come cardine il culto e il rispetto di Madre Natura, a cui sono poi affiancati numeri della cabala napoletana. «È un messaggio in generale positivo, e i messaggi positivi provengono dal culto di qualcosa». Sulla striscia gialla maschere Tiki polinesiane sono affiancate dal simbolo alchemico della madre terra, dal sole e dal numero 52 stante per “madre” (che qui è, appunto, “madre terra”), mentre su quella azzurra sono rappresentati i nativi americani con accanto uccelli, la figura dell’uomo e della donna e il numero 35, “l’aucelluzzo”. Le strisce verde e rosa, invece, riportano da un lato le tribù guerriere dell’Africa subsahariana con i quattro elementi e il numero 40 (“alberi”), e dall’altro statuine maya e azteche accompagnate dall’occhio mistico azteco (indicante il sesto senso), dal numero 18 (“speranza”) e da una figura che riproduce un uomo del futuro che al posto della testa ha, ormai, un televisore. Con il suo impegno artistico e civile, Ruben D’Agostino denuncia la mancanza di intervento da parte dell’amministrazione, che ormai da anni ha abbandonato ciò che resta dei pini di Posillipo lasciandoli al deterioramento, ma allo stesso tempo tenta anche di muovere la coscienza della popolazione. «Non voglio imputare niente al cittadino, perché so che siamo troppo impegnati a sopravvivere. Ma c’è un problema di assuefazione: siamo, ormai, abituati a tutto quello che ci capita e non notiamo più le differenze in negativo. Da parte mia, agire in questo modo serve anche a porre nelle persone il dubbio, a domandare alle persone se si rendono conto di cosa sta succedendo intorno a loro, se davvero vogliono continuare a subire o se invece vogliono fare qualcosa. La mia arte serve da sprone, per fare capire che anche una segnalazione ritenuta inutile è in realtà di estrema importanza. E, gradualmente, i cittadini hanno iniziato di nuovo ad avere consapevolezza dell’ambiente che li circonda: potremmo definirlo un risveglio delle coscienze. Ma è un processo lungo».
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