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Il ras Di Lauro come Savastano: non mangia e non vede i parenti

Il ras Di Lauro come Savastano: non mangia e non vede i parenti

Il capoclan impazzito al 41-bis, il tribunale dispone la perizia psichiatrica

NAPOLI. Da mesi vive in una condizione di isolamento assoluto. Una bolla da cui ha escluso tutti e tutto: l’adorata madre, la compagna Cira che da un anno si presenta invano ai colloqui e persino i processi che lo vedono al banco degli imputati con accuse pesantissime da cui avrebbe tutto l’interesse a difendersi. Marco Di Lauro, il boss che per 14 anni ha tenuto le redini del clan secondiglianese vivendo come un fantasma, oggi è un uomo irriconoscibile. Il 43enne ras da circa un anno sta vivendo uno stato di grave sofferenza mentale. Una condizione psichiatrica preoccupante, allo stato non meglio approfondita, che ha spinto la Terza sezione della Corte di assise di appello di Napoli a disporre, in accoglimento all’istanza dell’avvocato Gennaro Pecoraro, una perizia psichiatrica per il quartogenito di Paolo Di Lauro. Dalla primavera del 2019, anno in cui è stato arrestato, Marco Di Lauro si trova ristretto al 41-bis nel carcere di Sassari. La sua detenzione è stata però tutt’altro che “lineare”. Per motivi di salute, il ras noto come “F4” ha infatti subito due brevi trasferimenti negli appositi reparti delle carceri di Torino e Cagliari. Col passare del tempo il quadro non è però migliorato, anzi. Il tutto è stato messo nero su bianco nella relazione comportamentale redatta il 6 maggio scorso dalla direzione della casa circondariale di Sassari su richiesta del tribunale di Napoli: «Allo stato attuale Di Lauro rifiuta qualsiasi terapia e colloquio con tutti gli operatori e anche con i familiari, compresa la madre... Continua ad alimentarsi parzialmente. Passa molto del suo tempo a letto, guarda la televisione e utilizza un fazzoletto per coprirsi la faccia». Uno stato di perenne apatia, che il ras interrompe saltuariamente con frasi preoccupanti e dal senso indecifrabile: «Tanto domani torno libero». E ancora, quando gli operatori si avvicinano alla sua cella: «Non posso parlare, ho l’elettronica... Fra poco finisco la carcerazione e posso parlare con voi». Peccato che la sua detenzione, almeno allo stato attuale si preannunci tutt’altro che breve. Nonostante l’assoluzione dopo tre annullamenti in Cassazione per l’omicidio dell’innocente Attilio Romanò, sulla testa del boss secondiglianese pendono ad oggi una condanna definitiva a trent’anni di reclusione e un’altra, ancora al vaglio dei giudici si appello, a quattordici anni, oltre a diverse indagini non ancora incardinate in processi. A inizio anno una prima istanza di perizia psichiatrica era stata rigettata dal gip Iaselli del tribunale di Napoli sulla scorta di una relazione sanitaria che minimizzava il disagio del detenuto Di Lauro, la cui assenza di interazione sociale veniva ricondotta a «tratti istrionici di personalità e disturbo dell’adattamento». Una condizione che sarebbe stato possibile lenire con un semplice supporto psicologico. Il ras “F4” in seguito ha però rifiutato persino di incontrare il perito incaricato dalla sua famiglia. Una situazione di stallo e potenzialmente esplosiva, sbloccata adesso dalla nuova relazione del carcere di Sassari. Il quartogenito di “Ciruzzo ’o milionario” sarà dunque sottoposto a un’accurata perizia psichiatrica che ne accerterà le condizioni di salute, oltre alla capacità di partecipare coscientemente ai giudizi: da mesi infatti Di Lauro partecipa alle udienze dei processi che lo vedono al banco degli imputati. L’avvocato Gennaro Pecoraro, storico difensore di Marco Di Lauro, accoglie con soddisfazione la decisione della Corte di assise di appello di Napoli: «Abbiamo il dovere di salvare questo ragazzo e stiamo facendo tutto il possibile per riuscirci. Appare evidente che Di Lauro versi in una condizione psichiatrica preoccupante, per il suo persistente rifiuto, che già di per sé denota l’assenza di intenti simulatori o strumentali, di sottoporsi a qualsivoglia accertamento. È opportuno che vengano assunte tutte le misure necessarie a salvaguardare la sua salute del detenuto». In passato anche il fratello Cosimo aveva mostrato analoghi sintomi. Un drammatico copione, che si ripete.

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