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28 Luglio 2023 - 07:30
NAPOLI. Macchiatisi di un delitto orribile e imperdonabile, sapevano che la giustizia non avrebbe mai smesso di stargli alle calcagna. Contro di loro, quasi vent’anni fa, aveva del resto già puntato il dito Pietro Esposito “Kojak”, l’uomo che nel pieno della prima faida di Scampia aveva attirato in trappola Gelsomina Verde, la giovane donna la cui unica “colpa” era quella di aver avuto una relazione sentimentale con il ras scissionista Gennaro Notturno “’o saracino”. Uno sgarro imperdonabile per il clan Di Lauro, che pur di stanare il boss rivale non esitò a uccidere la 21enne con due colpi di pistola alla testa, per poi bruciarne il cadavere all’interno della sua auto. Diciannove anni dopo quell’atroce esecuzione di camorra, il cerchio delle indagini si avvia adesso verso la definitiva chiusura grazie alle dichiarazioni del super pentito Salvatore Tamburrino: proprio sulla scorta delle sue accuse ieri mattina sono stati arrestati Luigi De Lucia, 37 anni, e Pasquale Rinaldi “’o vichingo”, 38 anni: ritenuti gli esecutori materiali del delitto. L’idea di assassinare Gelsomina Verde era stata partorita da Ugo De Lucia, cugino di Luigi e “dilauriano” della prima ora, che sta attualmente scontando la pena dell’ergastolo. In questi anni le indagini condotte dalla Squadra mobile di Napoli non si sono però mai fermate, neppure quando pochi anni fa è stato assolto in appello il boss, recentemente scomparso, Cosimo Di Lauro. Gli investigatori di via Medina non hanno mai mollato la presa e, incastrando gli elementi emersi dalle dichiarazioni di ben sette collaboratori di giustizia, sono riusciti a chiudere il cerchio intorno ai presunti killer, raggiunti ieri mattina da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Rinaldi è stato rintracciato nel suo domicilio a Castelvolturno, mentre De Lucia è stato tratto in arresto a Massa Carrara, dove era già ristretto agli arresti domiciliari. I due sono adesso in carcere in attesa dell’interrogatorio di garanzia innanzi al gip. Determinanti ai fini dell’inchiesta si sono rivelate le accuse messe a verbale da Tamburrino, ex fedelissimo del boss Marco Di Lauro, il 28 gennaio 2020: «Qualche giorno prima dell’omicidio Ugo De Lucia venne nel rione dei Fiori nella casa di Cosimo Di Lauro, eravamo presenti io, Cosimo, Marco Di Lauro, Ciro Di Lauro e Giovanni Cortese. Fece il nome di Gelsomina Verde in quanto aveva una relazione con Gennaro Notturno “Saracino”, scissionista”, fratello di Vettorio e cugino di Arcangelo Abete. Ugo De Lucia dive che Gelsomina poteva dirci dove stava Gennaro Notturno... Marco e Ciro Di Lauro si raccomandarono con Ugo De Lucia di non fare casino perché era prevedibile che l’omicidio di una ragazza avrebbe fatto molto clamore sui giornali. Ugo De Lucia rispose me la vedo io con mio cugino, ossia il figlio di Paolo De Lucia, Luigi De Lucia». Il rapimento degenerò però nel peggiore dei modi e per Gelsomina non ci fu alcuna possibilità di scampo: «Quando si apprese - ha proseguito Tamburrino - che Gelsomina non solo era stata uccisa, ma addirittura bruciata nella macchina, Marco Di Lauro in mia presenza si mise le mani nei capelli dicendo che hai combinato Ugo». Poco dopo Tamburrino ebbe un duro confronto con i killer: «Vidi che Ugo De Lucia si era rasato i capelli e mi disse che era colpa del cugino Luigi, che quando incendiarono la macchina con Gelsomina dentro non si era accorto che Ugo era molto vicino alla macchina e gli aveva bruciato i caelli e le sopracciglia. Non mi disse del coinvolgimento di altre persone, mi parlò di Pietro Esposito, prelevato dalla polizia, che Ugo aveva usato per convocare Gelsomina». Proprio “Kojak” riferì in seguito che Luigi De Lucia e Rinaldi salirono in auto con la ragazza e che il secondo, in particolare, aveva una pistola ben in visibile nel giubbotto. Alfredo Fabbrocini, capo della Squadra mobile di Napoli, commenta con amara soddisfazione l’esito dell’inchiesta: «Ricostruiremo fino in fondo le condotte dei singoli e non escludo altre responsabilità penali. Di certo tutto il clan Di Lauro è moralmente responsabile del delitto».
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