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Cure palliative, «c’è ancora la cultura del “non dire”»

Cure palliative, «c’è ancora la cultura del “non dire”»

NAPOLI. «Napoli conta circa 3mila morti l’anno per malattie oncologiche. Il tema delle cure palliative è serio, perché era necessario dare a queste persone per essere curati non come malati ma come persone. È lo scopo delle cure palliative, ovvero venire incontro a quelli che sono i bisogni delle persone in quel momento e che possono aiutarli a vivere con la migliore qualità di vita possibile per il tempo che rimane loro. Sono rivolte agli adulti ma anche ai bambini». A dirlo è Antonio Maddalena, direttore dell’Uosd Cure palliative domiciliari dell’Asl Napoli 1 Centro. «La nostra attività è rivolta al paziente ma anche alla sua famiglia, perché le cure palliative sono un qualcosa che coinvolge la persona interessata ma anche chi gli sta vicino».

Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate quando siete chiamati a intervenire?

«Sono due: in primis, la cultura del “non dire”, cioè spesso secondo i familiari il paziente non sa quello che ha e noi, quindi, non abbiamo modo di esprimerci in maniera diretta e sincera con chi dobbiamo assistere per conquistare quel rapporto di fiducia necessario in questi casi. In secondo luogo, le segnalazioni arrivano spesso in un stadio troppo avanzato della patologia, magari a pochi giorni dalla morte. E questo è un problema, perché a quel punto possiamo fare poco o nulla. E ci troviamo a confrontarci con un paziente sfiduciato e una famiglia arrabbiata nei confronti della malattia. E c’è un’altra cosa…».

Quale?

«Noi paghiamo la sfiducia nel sistema pubblico e il fatto che non veniamo scelti come, per esempio, nel caso del medico di base. Purtroppo il concetto di accettazione della fine della vita ancora non appartiene alle persone e questo è un grosso ostacolo».

Di positivo c’è l’istituzione di una specializzazione universitaria…

«Dall’anno scorso a Napoli è stata assegnata una Scuola di cure palliative alla Federico II e anche la Vanvitelli sta facendo richiesta. Al momento ci sono solo quattro posti ma sono destinati ad aumentare. Cominceremo ad avere degli specialisti in medicina palliativa. E questo consentirà di svolgere al meglio una professione che finora è stata fatta in una sorta di forma “volontaria” provenendo il personale sanitaria da altre specializzazione individuate dal ministero, come la geriatria, l’anestesia, la radioterapia, la neurologia».

La Regione Campania è attenta a questo tipo di assistenza?

«Sì, segue il nostro ambito e investe molto per lo sviluppo delle Reti. A breve sarà istituito un coordinamento regionale per le cure palliative che dovrà monitorare e dare indirizzi a tutte le Asl dove il servizio è previsto per legge».

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