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20 Agosto 2023 - 15:53
NAPOLI. «Anche quest’estate è stato dimostrato quanto diciamo da tempo: gli ingolfamenti nei pronto soccorso si risolvono con una sanità territoriale capace di assorbire quella domanda di salute che altrimenti viene riversata nei reparti di urgenza anche quando non ce ne sarebbe bisogno». Le cure di prossimità sono soltanto uno dei dossier che Teresa Rea (nella foto), presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Napoli, intende riaprire da subito, senza aspettare il rientro dalle ferie. Anche perché potrebbero ripetersi nei prossimi giorni, a partire già da oggi, le scene già viste a luglio, con i pronto soccorso super affollati in vista di un nuovo e incontrollato aumento delle temperature anche a Napoli.
Le ultime ondate di calore hanno portato un nuovo maxi ingorgo di barelle e di ricoveri, soprattutto all’Ospedale Cardarelli: oltre le 200 unità giornaliere.
«Sì, con grave disagio per gli assistiti e di super lavoro per gli infermieri, costretti a turni massacranti, rinunciando spesso a giornate di riposo e ferie. Andrebbero lodati come fa l’Opi di Napoli, Invece ricevono in cambio aggressioni, insulti, minacce. Ma è vero pure che oltre il 70 per cento delle richieste di assistenza erano codici bianchi e verdi. Cioè trattamenti sanitari a bassa intensità trattabili anche a casa con l’infermiere di famiglia o in quelle strutture territoriali che oggi mancano. E che chissà se vedremo mai».
In che senso, si spieghi.
«Con la modifica del Pnrr che il governo chiede all’Europa tagliano alla Campania una cinquantina di case di comunità. Si tagliano risorse per la sanità territoriale. Fondi destinati a ospedali e case di comunità: le strutture che dovrebbero aiutare a diminuire la pressione sugli ospedali, offrendo prestazioni e cure per malati non urgenti. Sono 170 le case di comunità che erano finanziate in Campania con il piano post pandemia: circa 411 milioni di euro il valore. Il taglio previsto dal ministro Fitto, dovrebbe interessare 49 case di comunità in regione per un valore di quasi 130 milioni».
Tra i dossier aperti dall’Opi Napoli c’è anche uno che riguarda l’autonomia differenziata. Cosa temete?
«Che si vada verso una sanità dei ricchi e dei poveri. Come sta già avvenendo in Lombardia con il caso dell’ambulatorio ad accesso diretto, che non è altro, nella dura e concreta realtà, di un pronto soccorso a pagamento, che offre servizi di prelazione a chiunque abbia la capacità economica di provvedere al saldo della cifra richiesta. Anche per questo bisogna puntare su soluzioni sostenibili per l’intero sistema»
Cosa proponete?
«Per far fronte alle nuove domande di salute che arrivano da una popolazione sempre più anziana e con tante patologie legate all’età, servono soluzioni nuove. È indispensabile abbandonare modelli organizzativi obsoleti, ormai inefficace per rispondere alle esigenze di salute della popolazione, come dimostra anche l’analisi Crea Sanità. Il nuovo paradigma sanitario si fonda sulla costruzione di reti di prossimità territoriale, determinando uno spostamento dei setting assistenziali dai luoghi tradizionali di cura, come gli ospedali, verso strutture territoriali, compresi i domicili, che possano favorire l’integrazione sociosanitaria e la continuità dei percorsi».
Ci faccia un esempio
«Un progetto importante già sperimentato presso il distretto 41 dell’Asl Napoli 2 Nord - ha spiegato Teresa Rea - sono le Aft (Aggregazioni funzionali territoriali), utili per migliorare le prestazioni sanitarie in funzione di pazienti ultrasessantenni e con patologie croniche, per estendere le prestazioni territoriali e di prossimità e nel contempo valorizzare il ruolo dell’infermiere sempre più proiettato ad una gestione manageriale dell’assistito. Le Aft sono forme organizzative mono-professionali di medici di medicina generale (Mmg) Assistenza primaria e di Continuità assistenziale che perseguono gli obiettivi di salute e di attività definiti dall’azienda. Ultimamente però proprio nelle Aft s’è resa necessaria una riorganizzazione e una ristrutturazione dei servizi attraverso l’introduzione dell’infermiere di famiglia. Una svolta importante per l’assistenza sul territorio perché consente un’efficace valorizzazione della figura dell’infermiere di famiglia, anche grazie all’implementazione dei sistemi di telemedicina (app di TeleNursing e Teleassistenza). Ma anche di perseguire importanti obiettivi: 1)incrementare il numero di pazienti presi in carico a domicilio come previsto dal Pnrr; 2) ridurre gli accessi impropri ai pronto soccorso e le ospedalizzazioni; 3) implementare l’utilizzo dei servizi di telemedicina che risulteranno decisivi in un prossimo futuro per gestire un crescente numero di pazienti ultrasessantenni e con diverse morbilità croniche».
Ma è possibile fare tutto questo nonostante i 10mila infermieri in meno che lamentate?
«In Campania mancano diecimila infermieri. L’entità del deficit non è una nostra invenzione, ma è stato certificato dal Centro ricerche sulla sanità (Crea) e confermato da diverse altre analisi socio-economiche. Tutte sottolineano che in Campania si è di molto sopra le 6mila unità di deficit di personale. Ma considerando i nuovi pensionamenti e le risorse umane necessarie per “mettere a terra” micro ospedali, case di comunità e quanto previsto dal Pnrr nella revisione territoriale del Sistema sanitario nazionale, si superano ampiamente le 10mila unità. Sono numeri impietosi, che collocano la Campania tra le regioni d’Italia con il più grave buco di personale infermieristico. Un deficit che si trasforma in pericoloso danno alla qualità dell’assistenza e al servizio sanitario regionale. Oggi in media ogni infermiere in Italia ne ha in carico 12. In Campania siamo sopra questa soglia di gran lunga, Il numero ideale sarebbe sei. E da quota 10 in su, informa uno studio pubblicato sul prestigioso British Medical Journal, il tasso di mortalità sale del 20%».
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