Cerca

La Cassazione salva il rampollo dei Di Lauro

La Cassazione salva il rampollo dei Di Lauro

Omicidio Giannino, i pentiti non convincono: rigettato l’appello del pm. Prima faida di Scampia, il presunto mandante del delitto resta a piede libero

NAPOLI. L’omicidio di Luigi Giannino ha rappresentato il colpo di coda della prima faida di Scampia: il delitto perfetto con cui il clan Di Lauro avrebbe vendicato l’assassinio di Giuseppe Pica ed eliminato il presunto traditore che aveva deciso di transitare nelle fila degli Scissionisti. Un fatto di sangue ancora oggi in parte avvolto nel mistero e forse destinato a rimanere tale per molto tempo. La Corte di Cassazione, infatti, rigettando l’appello della Procura ha confermato l’annullamento dell’ordinanza che pochi mesi fa aveva portato dietro le sbarre il ras Vincenzo Di Lauro, secondogenito del capoclan “Ciruzzo ’o milionario”.

Sulla testa del 48enne rampollo della camorra secondiglianese pendevano le dichiarazioni rese in questi anni da una sfilza di collaboratori di giustizia, su tutti Carlo Capasso e Antonio Pica. Ricostruzioni, però, puntualmente “de relato” e soprattutto assai carenti sotto il profilo dei riscontri. Questa è stata la linea difensiva sostenuta dal difensore di Di Lauro Jr, l’avvocato Antonio Abet, che dopo il favorevole verdetto ottenuto in sede di Riesame ad aprile scorso, ha dato adesso una nuova picconata all’inchiesta che sembrava aver fatto luce sull’omicidio di Luigi Giannino “Cutoletta”. I giudici di piazza Cavour, respingendo l’appello del Procura, hanno infatti riscontrato una grave carenza sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, motivo per il quale Vincenzo Di Lauro, nonostante la pesante accusa di essere stato il mandante dell’efferato delitto del 13 giugno 2007, continuerà a rimanere a piede libero.

La difesa di Vincenzo “F2” ha in insistito in particolare sulle divergenze che i pentiti Capasso e Pica hanno mostrato in ordine alla causale del delitto e alla persona con cui il ras si sarebbe interfacciato prima di emettere la sentenza di morte: Cesare Pagano secondo Capasso, Domenico Antonio Pagano secondo Pica. Altra circostanza non proprio trascurabile: il giorno in cui “Cutoletta” fu trucidato Vincenzo Di Lauro era già detenuto da diverse settimane, precisamente dal 27 marzo. La Procura aveva però sostenuto che l’ordine omicidiario fosse stato comunque reiterato anche dal carcere, ma quest’ipotesi non ha fatto breccia già nei giudici del Riesame, che infatti avevano annullato l’ordinanza di custodia cautelare a carico del ras.

Nunzio Talotti, altro pezzo da novanta del clan Di Lauro coinvolto nella retata di fine marzo, aveva invece deciso di ammettere il proprio coinvolgimento nell’omicidio Giannino. Tornando invece a Vincenzo Di Lauro, già durante il primo interrogatorio successivo all’arresto aveva sostenuto la propria innocenza: il presunto ras aveva affermato di avere un alibi di ferro la sua detenzione e di non aver mai ordinato l’uccisione dell’affiliato infedele. Lui, il fratello Marco Di Lauro, Nunzio Talotti, Gennaro Puzella, Mario Buono e Raffaele Musolino erano accusati di aver preso parte all’omicidio di “Cutoletta” e di essere i responsabili del contestuale ferimento di Ciro Vallinotti e del tentato omicidio di Luigi Magnetti.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Roma

Caratteri rimanenti: 400

Logo Federazione Italiana Liberi Editori