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18 Settembre 2023 - 08:37
Una nuova tegola si abbatte sul ras del rione Sanità Giovanni Sequino, noto a malanapoli come “Gianni Gianni” o “Giovannone”. Già reduce da una severa condanna a 14 anni di reclusione per associazione mafiosa, da due anni il boss si trovava ristretto al regime del 41-bis nel carcere dell’Aquila. Ebbene, pochi giorni fa il ministero della Giustizia ha disposto per lui la proroga del carcere duro: dunque, almeno per altri due anni il ras sarà costretto a vivere in condizioni di sostanziale isolamento, con contatti con l’esterno, cioè con i familiari, ridotti ai minimi termini. Giovanni Sequino, figura di spicco del clan che porta il suo stesso cognome, è stato tra i protagonisti della faida che fino al 2019 ha insanguinato le strade del rione Sanità. Lui stesso ha in almeno un’occasione rischiato grosso e la circostanza è emersa dall’inchiesta che l’ha poi portato alla sbarra e in seguito a essere condannato a 20 anni, pena poi rideterminata in 14 anni in appello. Dal carcere Salvatore Sequino continuava a impartire ordine ai suoi affiliati nonostante sul campo a reggere il clan fossero i nipoti Salvatore Pellecchia e, appunto, Giovanni Sequino. Proprio loro due commisero, agli occhi dello zio boss, un’ingenuità che lo irritò molto. Uscirono di notte il 7 gennaio 2019 e subirono un agguato mascherato da rapina in piazza Municipio. Il primo restò ferito, l’altro miracolosamente illeso. Ma che ci fosse anche il figlio di Nicola (fratello di “Totore”) si è scoperto soltanto attraverso alcune intercettazioni ambientali. Il 9 gennaio, due giorni dopo il ferimento, fu captato nel carcere di Secondigliano il colloquio tra Salvatore Sequino e le due donne che erano andate a trovarlo: la moglie e la sorella. Argomento principale della conversazione era il ferimento di Salvatore Pellecchia, la cui notizia aveva notevolmente irritato il capoclan detenuto. Più volte nei mesi precedenti aveva invitato gli affiliati al clan alla prudenza: «Non devono rilassarsi, i Vastarella potrebbero attaccarci». Sonia Esposito raccontò al marito che il nipote aveva riferito alle forze dell’ordine di essere stato vittima di una rapina, ma la risposta del boss fu che i poliziotti non sono sprovveduti. Fatto sta comunque che la dinamica dell’evento lascia ancora dei dubbi. Le due donne proseguirono nella descrizione dell’episodio, facendo attenzione a dissimulare la causa reale del ferimento e abbassando il tono di voce all’occorrenza. Era successo che un’automobile si era fermata davanti alla macchina guidata da Salvatore Pellecchia, probabilmente per fermarlo, ed era nato un diverbio per ragioni di viabilità, poi terminato perché uno dei contendenti era stato riconosciuto dall’altro, forse proprio Pellecchia in quanto componente del clan Sequino. «Stavano nella macchina... gli stavano facendo la rapina... non si sa se l’autista dell’auto davanti lo fermò di proposito per fargli aprire la macchina». Le donne riferirono poi a Salvatore Sequino che Pellecchia e gli altri si accorsero che qualcuno dal capannello di persone stava per sparare.
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