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Killer in azione tra la folla, in manette lady Buonerba

Killer in azione tra la folla, in manette lady Buonerba

NAPOLI. «St’occasione ce l’ha mandata ’o pateterno», affermava ignara di essere sotto intercettazione. Un’esclamazione che da un lato ha consentito agli inquirenti di accertare il suo coinvolgimento nell’omicidio di Salvatore D’Alpino, fedelissimo del babyboss, all’epoca appena ucciso, Emanuele Sibillo, ma che dall’altro ha spinto i giudici di appello a escludere l’aggravante della premeditazione. Emilia Sibillo, moglie del boss Giuseppe Buonerba, ha adesso incassato l’ultimo verdetto, quello della Cassazione: la Suprema Corte ha confermato la condanna a vent’anni di reclusione, mettendo la parola “fine” all’ennesimo processo chiamato a fare luce sull’ultima, drammatica faida di Forcella. Lady Buonerba era tornata a sorpresa a piede libero l’estate scorsa mentre stava finendo di scontare una condanna a otto anni per associazione mafiosa: vale a dire la sua partecipazione al clan di via Oronzio Costa. Un’altra incudine pendeva però sulla sua testa: il ricorso per Cassazione dopo la condanna in appello per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Salvatore D’Alpino, ammazzato in pieno giorno e davanti a decine di persone in piazza Mancini, nel cuore della Ferrovia, il 30 luglio del 2015. Nello stesso agguato rimase tra l’altro ferito anche l’innocente Sabatino Caldarelli. Dopo le condanne definitive rimediate dai responsabili, morali e materiali, del delitto D’Alpino e del ferimento di Caldarelli, adesso si è concluso anche il processo a carico di Emilia Sibillo, consorte del ras Giuseppe Buonerba. La donna in primo grado era stata condannata a trent’anni di reclusione, ma la pena, grazie all’esclusione dell’aggravante della premeditazione, aveva poi subito una drastica “sforbiciata” in appello, cavandosela con vent’anni di carcere. La stessa condanna già incassata nel 2019 da Gennaro Buonerba, Luigi Criscuolo, Antonio Amoroso, Assunta Buonerba, Luigi Scafaro e Salvatore Mazio: in pratica l’intera cupola del clan di via Oronzio Costa che, sotto l’ala protettiva dal clan Mazzarella, aveva dichiarato guerra al cartello Sibillo-Giuliano-AmiranteBuonerba. Con l’ultimo pronunciamento della Cassazione le porte del carcere di Santa Maria Capua Vetere si sono però subito riaperte per Emilia Sibillo. Stando a quanto emerso dall’inchiesta che di lì a breve avrebbe azzerato le due cosche, D’Alpino, uomo molto vicino al babyras dei Sibillo Antonio Napoletano “’o nannone”, dava molto fastidio ai Buonerba in quanto andava a riscuotere il pizzo dagli ambulanti di Porta Capuana, area controllata proprio dai Buonerba. Un affronte che a un certo punto questi ultimi decisero di non tollerare più. Quella che ne scaturì fu un’esecuzione implacabile. Nella vicenda il ruolo di Emilia Sibillo (che porta solo il cognome del gruppo avverso) sarebbe stato però marginale. L’avvistamento casuale della vittima indusse tra l’altro a “cogliere l’occasione” come la stesa Sibillo affermava mentre si trovava nell’abitazione di Gennaro Buonerba: «St’occasione ce l’ha mandata ’o pateterno».

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