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11 Ottobre 2023 - 09:56
LA PRESIDENTE DELL’ORDINE DELLE PROFESSIONI INFERMIERISTICHE DI NAPOLI: «DISATTESI GLI IMPEGNI SUI DRAPPELLI DI FORZE DELL’ORDINE»
NAPOLI. «Siamo a 75 aggressioni in totale a Napoli dall’inizio dell’anno. Soprattutto colleghi, ma anche medici, oss, guardie giurate. Tutti vittime della brutalità e della ferocia di un’utenza che pretende di superare chi sta prima ad aspettare il proprio turno secondo i principi del triage, cioè prima i codici rossi, cioè i casi più gravi, e poi via, via gli altri». A dirlo Teresa Rea (nella foto), presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche a Napoli, che commenta così l’aggressione a due infermiere al Cto.
Ma anche in altre città la violenza negli ospedali è in crescita.
«Sì, lo confermano tutta una serie di studi presenti in letteratura. L’ultimo, quello edito da alcune università italiane, ci dice che tra tutte le aggressioni, quelle a danno degli infermieri rappresentano circa il 32,3 per cento e che per ogni cinquemila denunce, ci sono circa 125 mila casi non dichiarati. Quindi, un fenomeno che investe soprattutto la professione infermieristica, come ha riconosciuto lo stesso ministro Schillaci, ancora pesantemente sottostimato».
Come spiega questo fenomeno che diventa sempre più allarmante e all’ordine del giorno?
«C’è un ricorso alla violenza generalizzato che attraversa trasversalmente la società di oggi, che va dal bullismo nelle scuole alla violenza di genere. E noi infermieri, anche per un’offerta di salute spesso inadeguata, siamo il bersaglio più esposto. Poi si deve anche dire che paghiamo per un’offerta sanitaria che spesso non riesce a soddisfare appieno la domanda di salute».
Ma l’uso della violenza resta chiaramente ingiustificabile...
«Certo e anche in questo caso saremo vicino alle colleghe del Cto aggredite e pronti a presentarci ovunque come parte civile. Ma qui siamo dif ronte a problemi di ordine pubblico. E segnalo che sono ancora tragicamente disattesi gli impegni assunti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sulla presenza di drappelli di polizia negli ospedali più esposti».
Quindi come si può intervenire?
«Noi infermieri siamo fortemente impegnati sul fronte della territorialità e dell’appropriatezza. Siamo convinti che per contrastare le violenze e le aggressioni al personale sanitario è necessario, in primis, decongestionare i Pronto soccorso investendo sulla sanità territoriale. Dovremmo poter disporre di strutture e servizi cui possano rivolgersi i casi meno gravi, abbattendo così i tempi di attesa negli ospedali e migliorando tutto ciò che si trova fuori il Pronto soccorso. Anche perché spesso non è solo una questione di gravità del caso, ma di appropriatezza: le persone spesso chiedono al Pronto soccorso risposte che devono essere date dal territorio».
Chi dovrebbe fornire queste risposte?
«Nei Pronto soccorso si devono trattare soltanto le emergenze, rafforzando invece la rete territoriale di assistenza primaria. Ci sono situazioni che devono essere affrontate ad esempio presso le strutture intermedie, con la rete degli infermieri di famiglia e comunità e dei medici di medicina generale, con i servizi socio assistenziali che però devono essere riqualificati e potenziati, a partire da un'estensione della loro disponibilità oraria e di personale. In questo senso il Pnrr rappresenta un serbatoio di opportunità che occorre valorizzare, senza farsi sfuggire l'occasione per ridisegnare con maggiore razionalità i nostri modelli organizzativi».
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