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12 Ottobre 2023 - 07:45
NAPOLI. Già messo alle corde da arresti eccellenti e condanne severissime, il mai domo clan Contini si avvia verso una nuova, probabile stangata. A rischiare grosso sono questa volta il boss di San Giovanniello Alfredo De Feo, l’imprenditore Vincenzo Madonna e il rampollo Gaetano Ammendola: per tutti e tre, dopo gli arresti scattati a fine giugno, la Procura ha appena ottenuto il giudizio immediato. Processo “sprint” dunque e appuntamento in aula per il prossimo 14 novembre, quando i neo imputati sono attesi innanzi alla Terza sezione penale del tribunale di Napoli. Non è però da escludere che entro quella data i tre uomini del clan Contini chiedano di essere processati con il rito abbreviato, la cui istanza potrebbe essere formalizzata dai loro difensori (avvocati Leopoldo Perone, Nunzio Limite, Salvatore D’Antonio, Ferdinando Letizia e Lelio Della Pietra) da qui ai prossimi giorni. Tutti gli imputati sono a vario titolo accusati di associazione mafiosa per la loro partecipazione alle attività criminali del clan Contini, gruppo capofila dell’Alleanza di Secondigliano insieme ai Mallardo e ai Licciardi. Al boss Alfredo De Feo, in particolare, viene contestato il ruolo di capo e promotore, in quanto avrebbe diretto il gruppo operativo di San Giovanniello dal 2016 al 2020, concordando e condividendo con i vertici, di cui sarebbe stato diretto referente, le linee strategiche del sodalizio su svariati ambiti, dal traffico di stupefacenti all’imposizione del racket, dalla gestione della cassa comune al reimpiego di capitali di provenienza illecita, ormai il vero core business della cosca con base tra il Vasto e l’Arenaccia. L’imprenditore Vincenzo Madonna, storicamente legato alla famiglia Licciardi e poi ai Contini-Bosti, avrebbe rapidamente scalato le gerarchie della cosca grazie alla sua parentela con il boss Giuseppe Ammendola, alias “Peppe ’o guaglione”, referenti del clan nella zona del Borgo Sant’Antonio Abate. A Madonna la Procura contesta l’impegno nella gestione delle attività di riciclaggio e reimpiego dei proventi dell’organizzazione attraverso il reinvestimento in vari settori commerciali, soprattutto nelle attività di autolavaggio e autonoleggio dislocate nei pressi dell’aeroporto di Capodichino, ma anche in bar-pasticcerie e in attività di ristorazione. Gaetano Ammendola, sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe fatto invece da intermediario tra suo padre Giuseppe Ammendola e Vincenzo Madonna, suo fiduciario, ma anche da garante dei rapporti tra il ras Alfredo De Feo, reggente del clan, e Madonna per la gestione delle attività a lui riconducibili. Ammendola junior sarebbe stato inoltre una sorta di alter ego dal padre detenuto, gestendo in sostanza i rapporti criminali con gli altri esponenti di primo piano del clan e per la trasmissione di direttive di gestione del gruppo Contini. Dall’inchiesta è emerso con il clan avesse ormai da tempo ampliato il proprio raggio d’azione ben oltre Napoli, tanto da voler espandersi persino nell’aeroporto di Bari.
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