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16 Ottobre 2023 - 08:43
NAPOLI. Undici condanne definitive e due annullamenti con rinvio, di cui uno totale. Si è concluso così l’iter processuale scaturito dall’inchiesta “Tufò”, la dirompente indagine che nel 2020 aveva portato alla disarticolazione di un allarmante giro di cocaina tra i salotti della Napoli bene. Epicentro dell’affare, come tanti ricorderanno, il noto ristorante di Posillipo “Tufò”, all’epoca diretto da Ciro Capasso, narcotrafficante vicino agli ambienti degli Scissionisti e del clan Contini, e dal figlio Antonio: proprio la trattoria gourmet, stando a quanto emerso dalle intercettazioni, avrebbe ospitato diversi summit tra i ras della holding. Ebbene, la Corte di Cassazione si è appena pronunciata, rigettando ben undici ricorsi su quindici. Con il verdetto emesso dagli Ermellini della Sesta sezione diventano così definitive le condanne già rimediate in appello da Maurizio Ambrosino (8 anni), Gianmarco Ammendola (7 anni), Andrea Aruta (6 anni), Ciro Capasso (18 anni), Vincenzo Caputo (12 anni), Pasquale Catalano (4 anni , Mariano Ceci (9 anni), Rosario Lumia (12 anni), Carmine Pandolfi (9 anni), Raffaele Sciarra (6 anni e 8 mesi) e Marco Vicinanza (10 anni). Al netto dei verdetti confermati, che hanno ribadito la solidità dell’impianto accusatorio, non sono però mancati alcuni importanti colpi di scena. La Suprema Corte ha infatti annullato la condanna a carico del presunto regista dell’organizzazione Antonio Capasso, difeso dall’avvocato Claudio Davino, limitatamente alla qualifica di organizzatore. Annullamento totale, invece, per Antonio Russo, difeso dall’avvocato Luca Mottola. Capasso jr in secondo grado aveva rimediato 16 anni di carcere, Russo, 6 anni e 8 mesi. Per entrambi la Corte d’appello di Napoli sarà nei prossimi mesi chiamata a emettere un nuovo verdetto che tenga conto dei rilievi della Cassazione. Tornando all’inchiesta, la guardia di finanza aveva accertato che Capasso, dopo aver subito una grave crisi economica - superata grazie alla compagna Antonella Imperatore che intermediò con i clan per dilazionare un debito da 1 milione di euro in seguito a un sequestro di droga - e dopo essere tornato in libertà, negli anni era riuscito a riprendere a pieno regime la sua attività investendo parte dei guadagni illeciti nella ristorazione. Proprio all’interno del “Tufò” di via Posillipo si erano così tenute alcune riunioni tra Capasso, il figlio Antonio e altri membri dell’associazione, finalizzate a concordare l’acquisto di importanti quantitativi di cocaina. Durante uno degli incontri monitorati dagli esperti del Gico, era presente anche Rosario Lumia, il quale dopo qualche giorno, nel 2018, fu arrestato per aver nascosto nella sua auto oltre 33 chili di cocaina purissima; nella sua abitazione furono sequestrati anche oltre 200mila euro in contanti, 14mila dollari statunitensi e tre orologi di russo. Tra gli indagati, adesso condannati in via definitiva, spiccava poi il nome di Gianmarco Ammendola, figlio del capozona del clan Contini Giuseppe Ammendola “’o guaglione”.
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