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Il clan Di Lauro cambia pelle, torna il pizzo a Secondigliano

La reggenza del secondogenito di “’o milionario” nel mirino degli inquirenti. Pur di fare cassa la cosca avrebbe commissionato anche diverse rapine

Il clan Di Lauro cambia pelle, torna il pizzo a Secondigliano

NAPOLI. Nessun dubbio per gli inquirenti e gli investigatori: le attività illecite del clan di Lauro, sotto la regia di Vincenzo, hanno subito una trasformazione notevole grazie alla propensione del ras per gli affari. Ma il bisogno di danaro cash ha costretto il reggente a rompere un tabù pluridecennale: sono ricominciate a Secondigliano le estorsioni ai commercianti e addirittura sarebbe stata riaperta la strada alle rapine finalizzate a fare cassa. Un cambio di rotta epocale se si pensa che il boss Paolo detto “Ciruzzo ’o milionario”, come evidenzia la procura antimafia nell’inchiesta culminata nei 28 arresti, aveva acquisito parte del prestigio criminale e del consenso sociale proprio sull’assenza di “pizzo” nel quartiere.

La strategia criminale perseguita da Vincenzo Di Lauro ha rivitalizzato il clan, sottolineano inquirenti e investigatori. A partire dalla decisione del giovane ras di riattivare il contrabbando di sigarette, vecchio pallino del padre, evolvendolo verso la produzione in proprio dei tabacchi lavorati esteri piuttosto che limitarsi al solo commercio all’ingrosso e controllandone la produzione. Nel corso dell’indagine è emerso addirittura che la cosca aveva realizzato delle fabbriche per produrre sigarette di contrabbando facendo ricorso al know-how estero (in particolare bulgaro). Non è finito l’elenco dei cambiamenti nella gestione dell’organizzazione.

Attraverso le intercettazioni, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a cominciare da Salvatore Tamburrino, i carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli e del Ros hanno accertato che Vincenzo Di Lauro era entrato nell’affare delle aste giudiziarie abbandonando la rischiosa gestione delle piazze di spaccio, investendo la liquidità in settori imprenditoriali più lucrosi e a rischio relativamente minore. Nel primo caso a introdurlo nel nuovo business sarebbero stati esponenti della Vanella Grassi diventati suoi soci. Già da anni infatti la clamorosa “girata” della “Vinella” era rientrata e tra i due clan era tornato il sereno grazie anche a parentele incroiciate e antichi buoni rapporti.

Per gli inquirenti della Dda il clan con base storica a cupa dell’Arco e quartier generale nel “Terzo mondo” si era organizzato sulla base di specializzazioni per materia. A capo della piramide c’era Vincenzo Di Lauro, i cui referenti erano: Raffaele Rispoli per i tabacchi lavorati esteri con una serie di addetti; sempre Rispoli per gli stupefacenti insieme a Raffaele Di Napoli; Diego Leone per le aste giudiziarie; Vincenzo Di Lauro in persona nel campo economico e finanziario avvalendosi di consulenti e professionisti tra i quali i fratelli Nocera, Mario Castelli e Pietro Granata; Massimo Landolfo per le aste giudiziarie. Tutti da ritenere innocenti fino all’eventuale condanna definitiva, così come gli altri indagati nell’inchiesta in cui complessivamente figurano ben 41 persone. Un duro colpo all’organizzazione proprio quando stava tornando, sia pur con un’altra veste, alla massima potenza.

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