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23 Ottobre 2023 - 08:34
«Avevo un cellulare dedicato solo a questo e lo accendevo ogni venerdì dalle 16 alle 17, come mi aveva detto Marco Di Lauro. Comunicavamo con sms o “pizzini” esclusivamente per cose importanti: per il resto lui si gestiva in autonomia e girava liberamente. Andava dal medico se ne aveva bisogno, usciva con automobili di piccola cilindrata per non dare nell’occhio, sempre diverse, e si recava persino nei negozi di abbigliamento per fare acquisto». A riferire ai pm antimafia particolari interessanti sulla latitanza di Marco Di Lauro, sempre più ricca di particolari incredibili, è stato in lunghi e numerosi interrogatori il pentito Salvatore Tamburrino. Un ex braccio destro che in un attimo di disperazione, nell’ascensore della questura che lo stava portando in stato d’arresto alla Squadra mobile per l’omicidio della moglie, decise di cambiare vita. Ai poliziotti che lo accompagnavano confidò dove si trovava il super ricercato e da quel momento è stato considerato un collaboratore di giustizia, anche se ufficialmente lo è diventato un mese dopo a causa di un periodo di tentennamento.
I RACCONTI DI TAMBURRINO. Una parte dei racconti di Tamburrino, contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare contro Vincenzo Di Lauro e altre 27 persone, sono inediti. Come nei passaggi in cui riferisce del metodo usato da Marco Di Lauro per correre meno rischi possibili durante la latitanza.
«MARCO MI CONTATTAVA SU UN CELLULARE DEDICATO». Ma al tempo stesso l'allora reggente del clan di Secondigliano non faceva vita da recluso come si è sempre pensato insieme alla fidanzata. Sia lui che lei uscivano dall’abitazione di Marianella. «Marco Di Lauro non riceveva da noi un rapporto costante e quotidiano sulla vita del clan», ha messo a verbale Salvatore Tamburrino, «perché lo raggiungevo solo quando potevo incontrarlo in sicurezza. Funzionava in questo modo: Marco mi contattava su un cellulare dedicato, solo da usare con sms, che accendevo dalle 16 alle 17 di ogni venerdì e su cui ogni tanto arrivava un messaggio con cui mi chiedeva di andare “dalla tua amica” e io trovavo i “pizzini” che mi faceva trovare tramite due commercianti di Secondigliano .Marco invece si gestiva da solo, per esempio nelle visite mediche o negli acquisti di capi d’abbigliamento. Girava liberamente, aveva nella disponibilità macchine piccole che non davano nell’occhio, nella maggior parte dei casi prese a prestito dai clienti delle piazze di spaccio. Ovviamente temevamo le microspie e stavamo attenti a controllarle, anche se Marco non parlava mai in auto. Lui veniva informato solo per i fatti di maggiore importanza; in sostanza, se avevamo bisogno per vicende serie ci organizzavamo per contattarlo». Le dichiarazioni di Salvatore Tamburrino sono state importanti per far luce sugli affari dei Di Lauro con la reggenza di Vincenzo, fratello più grande di Marco. La strategia del clan è cambiata: meno piazze di spaccio per dare spazio al business delle aste immobiliari tramite un accordo con la Vanella Grassi.
CAMBIO DELLE ATTIVITÀ. Infatti le attività illecite, con la regia di Vincenzo Di Lauro, hanno subito una trasformazione notevole grazie alla propensione del ras per gli affari. Ma il bisogno di danaro cash ha costretto il reggente a rompere un tabù pluridecennale: sono ricominciate a Secondigliano le estorsioni ai commercianti e addirittura sarebbe stata riaperta la strada alle rapine finalizzate a fare cassa. Un cambio di rotta epocale se si pensa che il boss Paolo detto “Ciruzzo o’ milionario”, come evidenzia la procura antimafia nell’inchiesta culminata nei 28 arresti di martedì scorso, aveva acquisito parte del prestigio criminale e del consenso sociale proprio sull’assenza di “pizzo” nel quartiere. La strategia criminale perseguita da Vincenzo Di Lauro ha rivitalizzato il clan, sottolineano inquirenti e investigatori. A partire dalla decisione del giovane ras di riattivare il contrabbando di sigarette, vecchio pallino del padre, evolvendolo verso la produzione in proprio dei tabacchi lavorati esteri piuttosto che limitarsi al solo commercio all’ingrosso e controllandone la produzione. Nel corso dell’indagine è emerso addirittura che la cosca aveva realizzato delle fabbriche per produrre sigarette di contrabbando facendo ricorso al know-how estero (in particolare bulgaro).
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