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26 Ottobre 2023 - 08:44
NAPOLI. «Doveva fare sparare me», si fece scappare Beniamino Ambra nel corso di una telefonata intercettata dalla polizia. Aggiungendo che “Carminiello”, identificato per Carmine Milucci, aveva commesso un grosso errore. La conversazione rappresenta uno degli indizi a carico degli indagati per il duplice omicidio Lago-Marcello e combacia con quanto affermato da un altro dei cinque arrestati l’altra notte, Emanuele Bruno, parlando con una donna: «Carmine non l’ha ucciso, l’ha preso solo a una coscia mentre “’o magone” diceva “non spararmi più”. Ora loro sanno che siamo stati noi e siamo in guerra. Hai capito che guaio ha fatto?». «A zì, come si è sempre detto, ’o meglio pesce in mano... È quando lo fai con le mani tue», rispose la misteriosa interlocutrice. Si scoprono circostanze interessanti leggendo il decreto di fermo a carico di Patrizio Cuffaro, Emanuele Bruno (ritenuti gli organizzatori dell’agguato mirato a uccidere Antonio Lago ed Emanuele Marcello), Carmine Milucci, Beniamino Ambra e Antonio Campagna, presunti esecutori materiali. Quest’ultimo conosceva “’o magone”, che nel letto d’ospedale recriminava contro di lui indicandolo con il soprannome: “Sasà, core mio... amore mio... mi è venuto addosso con lo scooter». In effetti l’investimento faceva parte del piano perché quasi in contemporanea, il 29 agosto scorso in via Sartania a Pianura, entrarono in azione Ambra e Milucci, con il secondo che sparò. La ricostruzione del duplice tentato omicidio, attraverso cui è emerso che il gruppo CuffaroMarfella voleva eliminare il nipote degli storici boss Lago, è opera dei poliziotti della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile della questura (dirigente Alfredo Fabbrocini, vice questore Andrea Olivadese), autori dell’indagine con il coordinamento della Dda. Ferma restando la presunzione d’innocenza degli indagati fino all’eventuale condanna definitiva, importanti si sono rivelate le prime intercettazioni nella corsia dell’ospedale San Paolo. Oggi intanto si svolgeranno le udienze di convalida alla presenza dei difensori, tra i quali c’è l’avvocato Giacomo Pace. Lago e Marcello erano ricoverati nella stessa stanza e nonostante temessero di essere ascoltati senza immaginare di essere anche osservanti da una micro-telecamera, qualcosa scappò. Antonio Lago: «Oh, hai capì... quello ha fatto così (mimando con la mano il gesto della pistola, ndr) e si è inceppata la pistola, mi devono morire i figli miei... Sasà, cor mio, ammor mio... mi ha alzato in aria con il motorino. Nemmeno la pistola ’ncuoll tenevo». Marcello: «Eh... che t’avevo detto l’altra volta pure io?». Era le 22 del 29 agosto mentre l’agguato era avvenuto alle 17 circa. Nella stanza entrò un figlio di Antonio e non c’era più nessuno. Marcello: «Io ero morto... lo sai che mi ha salvato? Il borsello di tuo padre?». Antonio Lago: «Il borsello mio... l’eran accise... io gli ho dato il borsello mio». Marcello: «Io me le sono sentite in petto (le pallottole presumibilmente, ndr)».
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