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Droga e guerriglia, raffica di sconti in appello

Droga e guerriglia, raffica di sconti in appello

NAPOLI. I narcos di Napoli Est, già reduci dalla raffica di annullamenti disposti lo scorso anno dalla Cassazione, decidono di patteggiare e alla fine riescono a cavarsela con condanne a dir poco miti. Il secondo processo di appello che ha portato alla sbarra i presunti capipiazza e pusher del gruppo Troia, temibile costola del clan Mazzarella, si è così concluso con 15 condanna per un totale di poco più di 120 anni di reclusione: un “cumulo” quasi dimezzato rispetto ai due secoli inflitti in primo grado. Questo, nel dettaglio, il verdetto emesso dai giudici della Quinta sezione della Corte d’appello di Napoli: Concetta Aprea (nella foto a destra), 3 anni e 6 mesi; Marcello Carrotta, 7 anni e 4 mesi; Luigi Castellano, 2 anni; Ciro D’Amato, 7 anni e 4 mesi; Cosimo Di Domenico, 12 anni e 4 mesi; Gennaro Ferrara, 12 anni e 6 mesi; Immacolata Iattarelli, difesa dagli avvocati Francesco Buonaiuto e Leopoldo Perone, 13 anni; Gaetano Montella, 7 anni e 10 mesi; Aniello Niccolò, difeso dagli avvocati Giuseppe Milazzo e Immacolata Romano, 7 anni e 4 mesi a fronte dei precedenti 10 anni (era già stato assolto dall’accusa di capo e promotore); Salvatore Siano, 7 anni e 8 mesi; Alfredo Troia, 5 anni e 4 mesi; Francesco Troia, difeso da Perone e Buonaiuto, 13 anni; Vincenzo Troia (classe ’79), difeso dall’avvocato Perone, 13 anni; Vincenzo Troia (classe ’93), 9 anni; Giovanni Vicchiariello, 6 anni. L’inchiesta sul clan Troia era giunta al capolinea nel dicembre 2018, quando il blitz messo a segno a San Giorgio a Cremano aveva portato all’esecuzione di 37 misure cautelari a carico di altrettanti presunti affiliati. I carabinieri avevano eseguito le misure emesse a vario titolo per associazione per delinquere di tipo mafioso e di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti e di banconote false contro componenti di gruppi attivi non solo nel comune vesuviano ma anche nelle zone limitrofe. Nel corso delle indagini i militari dell’Arma avevano documentato che la gestione delle piazze di spaccio era stata motivo di scontro con altre organizzazioni e per azioni violente, tra le quali l’esplosione, ad aprile 2016, di un’autobomba.

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