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27 Ottobre 2023 - 10:04
Un decreto di sequestro di beni per un valore complessivo di circa 8 milioni di euro è stato eseguito dalla Guardia di Finanza di Napoli nei confronti di un imprenditore originario di Casal di Principe (Caserta), titolare di aziende edili e immobiliari, considerato vicino al clan camorristico dei Casalesi. Il decreto, emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sezione misure di prevenzione su richiesta della Dda di Napoli, dispone il sequestro dell'intero patrimonio aziendale di 16 società (con sede nelle province di Caserta, Chieti e Siena), 51 immobili tra fabbricati e terreni (nelle province di Chieti e Caserta), 8 tra auto e motoveicoli nonché 27 rapporti bancari e finanziari.Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il patrimonio dell'imprenditore casertano e del suo nucleo familiare si sarebbe formato e sarebbe stato incrementato negli anni grazie ad attività illecite.
Rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso e condannato in primo grado per reati di corruzione e di turbativa d'asta a seguito di indagini condotte anche dall'Arma dei Carabinieri, l'imprenditore è ritenuto appartenere, sin dal 2000, a un ristretto gruppo di imprenditori di fiducia delle fazioni Schiavone e Russo del clan dei Casalesi. Vanno in tal senso anche le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, che lo descrivono come imprenditore che, attraverso l'alterazione sistematica delle gare d'appalto realizzata mediante il ricorso a condotte corruttive o alla forza di intimidazione del clan, partecipava stabilmente a un sistema volto ad assicurare ai Casalesi l'aggiudicazione dei lavori pubblici, consentendo in tal modo uno stabile introito alle casse dell'organizzazione criminale.I capi del clan consentivano che l'imprenditore risultasse vincitore delle gare ad evidenza pubblica non facendo partecipare i propri impresari di fiducia alle procedure di aggiudicazione oppure facendoli partecipare al solo scopo di simulare la regolarità della gara. Lo stesso versava poi al clan una somma pari al 10% dell'importo dei lavori che si procurava grazie a false fatturazioni.
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